Cap 68

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Ross guida in silenzio. Non ha nemmeno acceso la radio. Guarda impotente le mie lacrime scendere, un tornante dopo l'altro, mentre prosegue la strada verso Saint Moritz. Annibale è morto e io non ero con lui. Da questa mattina, c'è solo questo pensiero fisso a distruggermi. E domani ho la gara. Il padrone di Annibale ci ha detto che ha preso una rara malattia, che l'ha stroncato in pochissimo tempo. Non potrò più accarezzare il suo pelo morbido. Non potrò più portargli le carote o il sale, né lamentarmi se fa il monello. Sento un vuoto enorme. Dovevo andare con Prisca e sua mamma a Sesto, per l'allenamento, ma ho preferito venire qui. Ho bisogno di stare da sola e concentrarmi. E soprattutto, voglio piangere Annibale in pace. Non posso spiegare alle mie compagne di ghiaccio quanto fosse importante per me quell'asinello. Lui mi salutava senza giudicare, e probabilmente vedeva il mondo un po' sfuocato, come lo vedo io. Per questo eravamo così in sintonia.

La mamma parcheggia all'entrata della pista. Mi sporgo e vedo il ghiaccio tutto libero per me. Ero sicura che l'avrei trovata vuota.

«Ti aspetto sugli spalti?»

«No, ti prego, voglio allenarmi da sola. Vai a prenderti una cioccolata»

Ross annuisce, e mi fa una carezza.

«grazie, mamma»

«E per cosa?»

«Per capirmi»

Indosso il costume rosso della gara precedente e infilo i pattini. Faccio qualche giro del campo con le mani dietro la schiena e i pensieri addosso. provo qualche trottola e intanto vedo il muso di Annibale chino sulla mia faccia. Sento il suo raglio che mi chiama. Lascio che altre lacrime si ghiaccino sulle mie guance. Un altro pezzo di me che se ne va. Un'altra ferita che farà sempre male. Chiudo gli occhi e inizio a provare la coreografia. Non sono molto concentrata. Mi manca qualcosa. Forse essere venuta qui da sola non è stata una buona idea. Mi mancano i consigli di Prisca e gli incitamenti di Monia.

Ci riprovo, cercando di metterci più passione, ma non funziona.

Mi siedo un istante e guardo il ghiaccio davanti a me. Sospiro. Mi rialzo e vado al centro della pista. Cerco di sentire la musica in testa, e di far finta di essere già in gara. Tengo gli occhi chiusi e provo il primo salto. Quando atterro, mi pare di andare contro a qualcosa. Forse è un insetto. E' ancora presto per le zanzare. Non voglio riaprire gli occhi. Cerco di pattinare come se niente fosse, ma è come se sbandassi attorno a un esercito di insetti brulicanti. Apro gli occhi e caccio un urlo.

Sono circondata da farfalle bianche

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Sono circondata da farfalle bianche. Volano sulla pista da ghiaccio e intorno a me, come impazzite. Mi vorticano incontro e poi si innalzano, per tornare a fare un cerchio intorno a me, prima di lasciarmi.

Dura un attimo di pura emozione. Un po' come la vita di una farfalla. Un po' come gli arcobaleni. Un po' come tutte quelle cose belle che ti lasciano i brividi sulla pelle.

Poi mi volto e vedo Paolo, che sta facendo volare da un grosso cestino le ultime farfalle rimaste imprigionate.

Pattino verso di lui.

«Sei impazzito, per caso?», dico. Gli occhi mi luccicano ancora per l'emozione.

«Avevo detto a quelle stupide che dovevano ballare con te. Fare da effetti speciali. Ma se ne sono volate via tutte»

Ride, poi mi guarda una spalla.

«No, aspetta», dice «una ha deciso di fermarsi con te...»

Mi sfiora il collo e lascia che la farfalla bianca gli scivoli su un dito.

«Domani tu avrai la stessa forza di questa farfalla», sussurra Paolo e innalza il braccio verso il cielo

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«Domani tu avrai la stessa forza di questa farfalla», sussurra Paolo e innalza il braccio verso il cielo .

«Pattina per me», mi chiede poi, «pattina ancora»

Si siede sugli spalti a guardarmi. Paolo ha aggiunto alla coreografia il pezzo che mancava. Adesso, quando chiudo gli occhi, oltre ai mille colori dell'arcobaleno, sento sulla pelle il tocco leggero di mille farfalle bianche.

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