Cap 39

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Entriamo in ospedale mano nella mano. Chiediamo di Paolo e ci dicono di attendere. Dopo un po' arriva un infermiere che conosco.

«Laura», mi saluta «come stai? Cosa ci fai qui stanotte?»

Temo che Geo possa capire che sono di casa, in questo ospedale. Cerco di parlare a bassa voce.

«Sono qui per un mio amico»

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«Sono qui per un mio amico»

«Quello che è stato pestato a sangue?»

Rabbrividisco.

«Già»

«Non credo te lo faranno vedere questa notte»

«Ma come sta?»

«Non ha lesioni gravi, per fortuna. Ma hai fatto un viaggio inutile. Lo stanno tenendo sotto osservazione e deve riposare. C'è solo un problema... Non riusciamo a rintracciare la madre»

Sospiro.

«Credo sarà impossibile rintracciarla, a meno che andiate a prenderla a casa»

«Oh... E' malata?»

Annuisco. Non ho voglia di raccontare tutta la storia della madre di Paolo. Ma so che al telefono non risponde mai. E non ha un cellulare.

«Senti, non puoi fare un'eccezione? Vorrei vederlo anche solo un attimo...»

L'infermiere mi guarda e non riesce a trattenere un sorriso.

«Vedo che posso fare. Ma solo perché sei tu»

«Grazie, Rino»

Torno verso Geo, che è seduto, le mani a coprirsi la faccia.

«Ehi», gli dico.

«Ehi... Che ti hanno detto?»

«Forse me lo lasciano salutare. Non ha niente di rotto, per fortuna»

«La cosa non mi solleva. Mi sento una merda»

Il naso inizia a sanguinargli ancora. Prendo un fazzoletto di carta dalla bocca e glielo porgo.

«grazie», mormora.

«Sono cose che capitano», lo rassicuro «se io non mi fossi comportata da stupida, forse questo non sarebbe successo»

«Non dire scemenze», ribatte Geo, tamponandosi «è solo colpa mia»

Rino mi fa segno di seguirlo.

«Arrivo subito», dico a Geo e mi incammino insieme all'infermiere.

Paolo è sistemato alla buona su un lettino in mezzo al corridoio del pronto soccorso. Ha un occhio completamente bendato e l'altro leggermente blu. Una flebo attaccata al braccio.

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