Quando Geo mi ha visto entrare alla Tana dell'Orso, ha pensato fossi un miraggio. Aveva gli occhi stanchi e lo sguardo spento. Non l'avevo mai visto così, quasi senza vita. Stava asciugando un bicchiere. Erano giorni che non lo vedevo e non lo sentivo.
«Ehi», ha detto «non sai che bello rivederti»
«Come stai?»
«Un po' come questo straccetto», mi ha risposto.
«Anche io. Tra due giorni c'è la gara. Volevo dirti che indosserò il nostro nastro grigio. L'altra volta mi ha portato fortuna»
Ci siamo guardati e per entrambi è stato come ripiombare per un attimo nel nostro piccolo mondo, fatto di colori che solo lui poteva vedere e solo io potevo sentire.
Non dimentico il rosso che mi hai tatuato sul cuore. Sento ancora il bianco della purezza che mi hai fatto provare. Sogno il verde tutte le notti, e ogni tanto, al buio, mi avvolge il nero del tuo cuore. Sei tutti i colori della mia vita. Sei l'arcobaleno che non passa e che al tempo stesso non posso vedere.
«Vuoi bere qualcosa?»
«No, magari un'altra volta. Sono passata solo per consegnarti questa»
Appoggio sul bancone la lettera che ho scritto la sera che Geo se n'è andato dalla casa sull'albero. Lui fa per aprirla.
«No, ti prego. Leggila quando sarò uscita»
Mi sporgo a dargli un bacio sulla guancia. Lui rimane immobile, come pietrificato. Ha lo sguardo più triste che io abbia mai visto.
«Ci vediamo, Geo», dico.
E mi allontano. Quando richiudo la porta alle mie spalle penso a ogni singola parola che ho scritto in quella lettera. La ricordo a memoria, come se l'avessi incisa sulla pelle.
Geo.
Quando ti ho conosciuto, mi avevano appena diagnosticato una specie di depressione. La chiamano depressione mascherata. In pratica, tu sei depressa, ma gli altri non se ne accorgono. Sei così brava a nascondere la cosa, che non te ne rendi conto nemmeno tu. Eppure senti un peso dentro, come una zavorra, che ti impedisce di fare quello che vorresti. Sei stanca, e non te ne frega niente di nessuno. Senti una bella notizia e pensi: e chi se ne frega. Senti una brutta notizia e pensi: e chi se ne frega. Prendi un brutto voto e... indovina? Pensi: chi se ne frega. Uno pensa che sia facile, risalire da questa merda, perché scenderci è stato rapidissimo. Come buttarsi la prima volta da un kamikaze: fai un solo respiro e sei già in fondo. Invece tornare in alto richiede tantissimo tempo. E non si fa il percorso tutto insieme, come con la discesa. Ci sono tanti piccoli passi, da compiere uno alla volta. Altrimenti uno si perde. Ma io tutte queste cose, prima, mica le sapevo. Fino ad allora credevo fosse normale, che mi sentissi così: fragile e senza emozioni. Poi, sei arrivato tu.
E non ti dico che il cielo si è colorato di azzurro, no: quello è rimasto sempre grigio scuro, un po' più chiaro quando esce il sole e non riesco a guardarlo. Ma dentro di me, si è come svegliato qualcosa. Ho iniziato a sentire il vento. Ho cominciato ad ascoltarmi: avevo voglia di ridere, e ridevo. Avevo voglia di piangere: e singhiozzavo. Ti vedevo da lontano, scorgevo la tua testa in mezzo a quella di milioni di altre teste, e mi perdevo in un brivido. Con te ho sentito la paura, il freddo, l'ansia, la pace assoluta, la rabbia, i peli che si rizzano sulla pelle, il calore delle mani. Con te ho provato cosa vuol dire litigare fino allo sfinimento, e poi abbracciarsi perché non ne puoi più di urlare. Mi sono sentita piccola e mi sono sentita grande, quasi ingombrante, quando eri vicino a me e facevi finta di non vedermi. Ho scoperto cosa vuol dire attendere che qualcuno ti chiami e farlo con ogni parte del tuo essere: niente ha più senso, fino a quando non ti fai vivo. Ho capito il senso dell'espressione "perdere la testa per qualcuno", le notti in cui non potevo dormire, talmente ti stavo pensando. Mi sono innamorata cento volte del tuo sorriso e cento volte ho sperato che anche a te stesse succedendo la stessa cosa. Fin dalla prima volta in cui ti ho visto, ho iniziato a star meglio e neanche me ne sono accorta. Se non ho preso quei farmaci, che il dottore mi aveva prescritto, è stato solo grazie a te e a quel fantastico sguardo che mi regalavi. Se ne sono accorti tutti, che sono cambiata. Mi sono come accesa. Non ho più avuto paura di mostrarmi per quella che sono davvero. Ma soprattutto, ho iniziato a sentirmi viva. A sentire che ero al mondo anch'io, come tutti gli altri, quelli che vedono i colori per davvero, e non fanno solo finta di conoscerli. Io non pensavo davvero, che per una persona si potesse stare così, come mi ritrovo adesso. C'è un gran casino: è come stare in un Luna Park all'orario di chiusura. Tutti se ne vanno, e tu rimani lì, col tuo giro di giostra ancora nel cuore, e senti una malinconia che non sai spiegare, e allo stesso tempo, anche se te la sei fatta sotto dalla paura, torneresti al volo sulle montagne russe. Perché ti senti cadere e poi, quando meno te lo aspetti, sei di nuovo in mezzo alle nuvole, ed è una sensazione bellissima. Io non lo so se sono queste emozioni che provo, quello che gli altri chiamano amore. Non so per quanto mi sarà dato di provarle ancora e se quello che ci siamo detti oggi è un addio. So solo che se un giorno incontrerò ancora l'amore, saprò riconoscerlo. Me lo saprò vivere ancora, con la stessa intensità, perché tu, Geo, mi hai tirato in piedi quando stavo per crollare e questo non potrò mai dimenticarlo.
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Shake my colors
ChickLitATTENZIONE: TROVATE QUESTA STORIA AMPLIATA E CORRETTA IN TUTTE LE LIBRERIE E SUGLI STORE ONLINE, PUBBLICATA DA Sperling & Kupfer! Laura ha diciassette anni e ama il pattinaggio più di ogni altra cosa. È solo lì, sul ghiaccio, che si sente davvero se...