Cap 35

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Non posso credere che siamo già a ottobre. Le foglie hanno iniziato a cadere, l'aria si è fatta più gelida e il lago sembra ancora più immobile. La gente ha iniziato a esclamare "che bei colori" e io a guardarmi intorno sempre più smarrita. Non mi abituo mai all'autunno. E forse in primavera è anche peggio. Ma se potessi decidere, per una gentile concessione di chi non mi ha dotato di questa capacità, di poter vedere i colori in una sola stagione dell'anno, sceglierei l'autunno. Per lo sguardo della gente. La malinconia che leggo nei loro volti, insieme allo stupore di rendersi conto che una cosa che muore può essere allo stesso tempo dolorosa e affascinante. Ma questo lo posso vedere anche senza il colore, in effetti. Lo vedo a modo mio. In toni argentati. Gli alberi attorno a casa si stanno spogliando lentamente e a me sembra di sentire il suono del pistillo che si stacca dal ramo. L'altro giorno ho abbracciato l'albero e gli ho sussurrato che non sta morendo. Sta solo cambiando. Gli ho detto che il cambiamento spaventa tutti: uomini, animali, piante. Che non deve preoccuparsi. Lui mi ha baciato facendo atterrare una foglia argentata sulla mia fronte.

Prisca mi dà una gomitata

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Prisca mi dà una gomitata.

«Laura, puoi rispondere alla domanda?»

Sbuffo. Non ho ascoltato il professore. Paolo mi sillaba qualcosa dal primo banco. Tento di capire cosa sta dicendo. E' una data? Mille quattro e cinquanta.

«Mille quattrocentocinquanta»

La prof di storia inarca un sopracciglio e decide che per questa volta posso passarla liscia. Prisca accavalla le gambe e se la sghignazza. Da quando le hanno tolto il gesso continua a mettere in mostra le sue bellissime gambe e ne va fiera.

 Da quando le hanno tolto il gesso continua a mettere in mostra le sue bellissime gambe e ne va fiera

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«Di' la verità, stavi pensando al tuo Geo, vero?»

Annuisco, per farla contenta.

Mi torna alla mente il terrore di quel giorno al pattinaggio. Alla fine ho dovuto raccontare quanto era successo alla mamma, perché Paolo mi ha minacciato che altrimenti l'avrebbe fatto lui. Lei il giorno dopo mi ha caricato in macchina e siamo andati a Lecco all'ospedale, dallo specialista che mi ha in cura.

Mi hanno fatto ogni genere di controllo e poi hanno detto che un episodio così può capitare a chiunque, che la mia acromatopsia non c'entra e che non devo stancarmi troppo. Però in quell'occasione ho scoperto che la mia miopia è addirittura peggiorata. Ci ho messo un po' di giorni, per recuperare con Geo. Si era un po' offeso, perché in quel momento si è sentito inutile. Paolo invece ha ricominciato a starmi accanto, nonostante ci sia sempre Ester tra noi. E il risultato è che sono sempre molto confusa, riguardo a ciò che provo. Con Geo è un'emozione continua, un altalenare di baci e passione mai provata. Con Paolo c'è una tenerezza infinita, e un'attrazione che cerchiamo entrambi di controllare.

Quando esco da scuola, Paolo sta per propormi di pranzare insieme, ma Geo è davanti all'entrata e tiene le mani dietro la schiena.

«E' venuto a prenderti anche oggi?», sbotta Paolo «ma tua mamma non dice niente?»

«Mia mamma non lo sa», sibilo e in quel momento lo odio. Quando fa così il possessivo lo scaraventerei a terra.

«Lui non sa niente di te, Laura», sussurra Paolo «lui non ti può proteggere»

«Ci stiamo frequentando. E basta. Cosa dovrebbe sapere?»

Gliel'ho chiesto in tono di sfida

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Gliel'ho chiesto in tono di sfida. Ci provi solo a nominare la mia malattia. Infatti lui non lo fa e abbassa lo sguardo.

«Sto solo dicendo che è appiccicoso!», si giustifica Paolo. Poi Ester lo abbraccia da dietro e lui mi guarda alzando gli occhi al cielo. Però poi si volta verso di lei.

Corro da Geo. Gli getto le braccia al collo.

«Cosa voleva il tuo amico, stavolta?», mi chiede lui, dandomi un bacio sulle labbra.

«Niente, parlavamo di una prof»

Geo mi squadra.

«Lo sai che sei bellissima con quei jeans scuri?»

«grazie»

«Dico davvero, ti fanno un sedere da paura»

Sento le guance infiammarsi. Ancora non è successo molto tra di noi, perché non c'è più stata una vera e propria occasione. Ma sento che Geo è impaziente e in fondo lo sono annch'io.

«Cosa nascondi dietro la schiena?», gli chiedo.

«Una piccola cosa per te», dice Geo, ma fa il misterioso e se la ficca in tasca.

«Camminiamo?», mi propone.

A Varenna c'è una passeggiata in riva al lago, detta anche la strada degli innamorati. E' molto fiabesca e molto frequentata dalle coppiette. Geo mi sta conducendo proprio lì. Dicono che quando un uomo porta lì la sua donna, è proprio cotto. I ragazzi la usano per le dichiarazioni importanti. Non so se siamo pronti per questo. Forse ho un po' paura. Mentre camminiamo, mi accorgo che le altre ragazze mi guardano con invidia e non posso fare a meno di chiedermi cosa ci trovi Geo in me. Lui è così bello. Si scosta i capelli dalla fronte e sceglie una panchina di fronte a una barca che si chiama Via col vento.

«Vorrei che quella barca fosse nostra, per un giorno solo. Vorrei andare via lontano. Con te», gli sussurro.

«Possiamo sempre prenderla in prestito...», mi risponde, accarezzandomi la schiena.

«Vieni qui», dice e mi fa sedere sulle sue ginocchia.

Mi brontola lo stomaco.

«Hai fame, eh?», esclama «adesso ti porto a mangiare qualcosa»

Annuisco.

«Poi devo andare all'allenamento»

«E io inizio il turno al lavoro»

Ci guardiamo negli occhi. E in quel momento penso chepotrei dirglielo. Potrei dirgli: Geo, io non vedo i colori. Non so come siafatto l'autunno, perché per me è solo più freddo e le foglie cadono e volanonel vento. Per me è tutto grigio. 

Shake my colorsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora