Cap 29

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L'insegnante ha un accento francese decisamente piacevole. Ogni passo che ci mostra sul ghiaccio è pura eleganza. I suoi salti sono perfetti. E io non riesco a concentrarmi. Siamo arrivate alla fine di questo stage, e non c'è un muscolo che non mi faccia male. Ho dato me stessa, forse anche di più, sono caduta e mi sono rialzata cento volte almeno. Però adesso sono stanca. Continuo a pensare a Geo, e quando non penso a lui mi viene in mente Paolo. Paolo che non si è più fatto sentire. Forse mi odia.

Sbaglio il triplo toe loop. Cado sul ghiaccio. Non mi rialzo subito, come dovrei. Rimango un attimo con le dita che schiacciano il gelo e la fronte che vorrebbe girarsi e percepire solo il bianco. Vorrei rimanere sdraiata qui per ore, come quando ero piccola e lo potevo fare. Ma basta un'occhiata di Monia per rialzarmi e riprovarci. Sospiro. Non vedo l'ora che sia sera.

Caterina già dorme quando entro nella stanza

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Caterina già dorme quando entro nella stanza. Si stanca facilmente. Ha il viso arrossato e si è buttata a letto vestita. Le metto una coperta sopra la schiena. Lei non si accorge e continua a dormire. Il telefono squilla. Mi dimentico sempre di togliere la suoneria, lì dentro. Spero che non sia Ross che chiede come è andata. Non sopporterei l'ennesima conversazione alle dieci di sera, su quanto siano migliorati i miei salti.

E' Geo.

«Ehi, barista dei miei sogni!», rispondo. Mi rendo conto che ho quasi urlato. Apro la porta balcone ed esco sul minuscolo terrazzino della nostra camera.

«Ehi, principessa del ghiaccio», mi sussurra.

«Come stai?»

«Come uno che ha appena fatto una cazzata e adesso spera gli vada bene»

«Cos'è successo?», chiedo, preoccupata.

Per tutta risposta sento il rombo della sua moto. E' talmente forte che mi sembra sia vicinissimo. In camera mia.

«La senti la mia Street Triple come scalpita?», scherza.

«Geo, per favore, sono stanca e non ho tutta questa voglia di scherzare

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«Geo, per favore, sono stanca e non ho tutta questa voglia di scherzare. Cos'è successo?»

Smette di giocare con la sua moto.

«Niente, ho finito il mio turno, ho guardato il lago, mi sembrava un piattume. Varenna per un attimo mi ha fatto schifo. E non mi è mai capitato. Mai. E' come dire una bestemmia, lo so»

«E allora?»

«E allora ho pensato che la colpa fosse tua. Che mi mancavi troppo»

«Quindi?»

«Ho deciso di andare dove mi portava il cuore»

Fa rombare un'altra volta il motore.

Questa volta non ho solo l'impressione che sia vicino. Lo sento anche. Mi sporgo a guardare e lo vedo. E' seduto sulla moto, davanti all'hotel, dove chiunque potrebbe scorgerlo. Mi prende un attacco isterico.

«Tu sei matto!», urlo. Ma è un urlo controllato, per non svegliare tutti quanti.

Lui ride. Se Monia lo vede sono fritta. Se Teresa lo vede, anche.

«Geo, spostati subito da lì», gli dico.

«Solo se scendi. Non mi avrai fatto fare tutta questa strada per niente?»

«Tu mi vedi?»

«Certo, Giulietta. Sei affacciata al balconcino. Ma io non ho la pazienza di Romeo»

Mi viene da ridere. E sento che ho le mani sudate. E non ho lavato i capelli.

«Dammi un secondo», sussurro e riattacco. Mi precipito in bagno. Sono un disastro. Ho le occhiaie e i capelli arruffati. Li lego in una coda e mi passo un po' di phard sulle guance. Sono ancora più ridicola. Mi precipito a frugare nella valigia. Per fortuna ho portato un paio di leggins. Indosso il mio maglione preferito, quello color ocra, che decisamente mi sta largo. Ma non ho nient'altro. Non pensavo certo che avrei avuto un appuntamento galante. Gli orecchini. Dove saranno finiti gli orecchini a cerchio? Non li trovo. Caterina si gira nel letto e chiede di spegnere la luce. Al diavolo. Esco dalla stanza facendo attenzione a non sbattere la porta.

«Ce ne hai messo di tempo», esclama, e mi abbraccia

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«Ce ne hai messo di tempo», esclama, e mi abbraccia. Affondo per un attimo in quella stretta calda e rassicurante. Annuso il suo collo e mi rendo conto di quanta voglia avessi di sentire quel profumo.

«Sei pazzo», ripeto ancora «non posso credere che tu sia qui».

«Te l'ho già detto, che se uno deve fare una cosa, mica può aspettare tutta la vita, no?»

Annuisco, emozionata.

«Sei bellissima», mi dice e solo allora mi ricordo in che condizioni pietose sono uscita.

«Non avevo niente di decente da mettermi», sussurro.

«Allora, dove possiamo andare?», mi chiede «immagino che non mi farai entrare in camera tua...»

Arrossisco a questa sottile allusione e gli do una leggera spinta. Poi mi rendo conto che non ho la minima idea di dove portarlo. Non siamo mai uscite, tranne ieri sera, per mangiare una pizza, ma non mi va di tornare lì.

«Non ho avuto molto tempo per girovagare, in realtà», ammetto.

«Immaginavo. Allora ho io un'idea».

Geo senza un'idea sarebbe un po' come una casa senza le finestre.


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