Cap 5

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Sul treno verso Lecco, non mi siedo mai vicino a Paolo. Lui ha la sua compagnia, oltre a me. Sono tutti maschi, tranne Ester. A Paolo piacerebbe che io mi unissi a loro, ma io preferisco ascoltare musica o fare i compiti che non ho concluso il giorno prima. Questa mattina, per esempio, sto tentando di finire la versione di latino. Paolo chiacchiera con Ester. Stanno scherzando sui capelli di lei, ma non riesco a capire se lui le fa degli apprezzamenti. Lei ride. E' carina, Ester, con tutti quei ricci. Però non fa molta luce. Le persone speciali irradiano una luce visibile, per me. Lei non è speciale.

«Laura?»

Samantha mi dà una gomitata.

«Siamo quasi arrivati», mi dice, «hai finito con quella versione?»

Samantha copia sempre le versioni di tutti. Sospiro e le passo il foglio. Non sono sicura che sia giusta. Ho messo qualche frase che non ha un vero e proprio senso logico. Ma tanto a lei importa solo di prendere la sufficienza.

Mentre camminiamo tutti verso il Liceo, Ester sfiora la mano di Paolo. Lui si gira a guardarmi e fa una smorfia buffa. Lei non se ne accorge. Prisca mi passa davanti e va a sedersi al suo posto, in prima fila. La prima ora abbiamo matematica. Cerco di rimanere concentrata, ma continuo a guardare le sue spalle dritte sulla sedia e penso alle sue evoluzioni sul ghiaccio, così perfette.

 Cerco di rimanere concentrata, ma continuo a guardare le sue spalle dritte sulla sedia e penso alle sue evoluzioni sul ghiaccio, così perfette

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Lei a un certo punto si passa una mano tra i capelli lunghissimi. Una volta, ridendo, mi ha chiesto perché non faccio i campionati per i non vedenti. La odio. Lei non sa nulla di me. Il sole questa mattina mi dà più fastidio del solito. Mi schermo la fronte con le mani e scrivo i numeri sul foglio. Paolo si sta passando dei bigliettini con Ester, ma il professore non se ne accorge.

Le altre ore per fortuna passano veloci. Quando consegno la mia versione la prof mi sorride e Samantha alza i pollici verso l'alto.

All'intervallo Paolo molla Ester e gli altri per venire da me. Vorrei solo bermi il mio succo senza parlare con nessuno.

«Sei tesa per oggi, vero?»

Come fa a capirmi sempre così bene? Devo essere trasparente, per lui.

«Un po'»

«Io una volta sono stato dallo psicologo», bisbiglia, e si guarda in giro, per assicurarsi che nessuno abbia sentito.

«Ah sì?», domando stupita. Questa parte me l'ero persa. Non me l'immaginavo proprio.

«E' stato tanto tempo fa, non è che ricordi poi molto», mi spiega, gesticolando. Quando è in ansia gesticola più del necessario e qualche volta rischia di farmi saltare gli occhiali dalla faccia.

«E com'è andata?»

Sbuffa.

«Ero piccolo. E' stato quando continuavo a chiedere dove fosse finito mio padre».

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