C'è un rito che facevamo sempre, io e Paolo, prima di ogni mia gara importante. L'aveva inventato lui. Ci calavamo dalla casa sull'albero fino ad Annibale, reggendo una candela accesa. Stavamo lì con il nostro asino, fino a che la candela non si consumava del tutto, e fantasticavamo sulla gara. Non su quello che dovevo fare. Ma sulle sensazioni che avrei provato una volta vinto. Secondo Paolo, fa bene fantasticare sulla vittoria. Anche se poi non avviene, fa sentire carichi e il giorno dopo è come se ci si risveglia e si deve affrontare una giornata già vissuta. Era divertente. Spesso non ha funzionato, ma il nostro rito portafortuna mi ha sempre dato coraggio.
«Laura, più dritta quella gamba! Cos'è quella schifezza!» Monia mi rimprovera e ferma la musica. Le altre mi guardano esterrefatte.
«Si può sapere che cosa c'è? Hai una coreografia vincente in mano, e la stai buttando via! Vuoi sprecare la tua occasione? La gara è domani! Cerca di concentrarti!»
Annuisco e Monia fa ripartire la musica. Prendo un respiro profondo. Alzo le braccia al cielo. Ma la mia farfalla ha le ali spezzate. Appena comincio a sfiorare il ghiaccio con i pattini, la scena mi torna in mente. E più tento di cacciarla, più mi assilla.
Ieri sera ho cercato Paolo, per fare il nostro consueto rito. Sono andata a citofonare a casa sua, e sua madre ovviamente mi ha risposto che lei non sapeva dove fosse. La casa sull'albero aveva le luci spente, allora mi sono fermata un po' con Annibale.
«Senza di lui non riesco a immaginare la mia vittoria», ho sussurrato all'asino «tu mi sai dire dov'è?»
Annibale mi ha preso un lembo del cappotto e ha iniziato a tirare.
«Perché fai così?», gli ho chiesto «devi fare il bravo asino, non il monello»
A un certo punto, mentre accarezzavo il testone di Annibale, ho sentito una risata. L'ho riconosciuta subito. C'è una sola persona che ride in quel modo tanto fastidioso.
Sono di nuovo a terra. Il ghiaccio mi sembra più freddo del solito. Sono una farfalla stramazzata al suolo per il dolore. Monia si avvicina e stavolta non mi rimprovera. Mi mette una mano sulla spalla.
«Sei distratta da qualcosa, ma non riesco a capire da cosa», mi sussurra «ti senti sotto osservazione?»
Dagli spalti sento Prisca sbuffare, poi si avvicina saltellando sul piede buono. Non ha ancora rimesso i pattini, non le è concesso. Il giorno in cui abbiamo ballato ha solo compromesso la sua guarigione.
Prisca si china su di me e mi guarda negli occhi. Monia si allontana di un passo.
«Ti dirò due nomi. E poi capirò», mi dice, con voce minacciosa.
«Primo nome. Geo», esclama.
Attende la mia reazione. Geo è stato molto comprensivo. Dopo la sera al castello di Vezio, mi è stato vicino con discrezione, senza chiedere di vederci. Sa che la gara di domani è molto importante. Prisca sbuffa e alza gli occhi al cielo.
«Paolo», sussurra. E mi guarda.
Volto la faccia e serro le labbra. Persino il suo nome mi dà fastidio. E' come darmi uno schiaffo.
«Non ci posso credere!», Prisca si alza in piedi e saltella con l'unico piede buono. Monia si mette dietro di lei, per recuperarla se dovesse cadere.
«Stai mandando all'aria tutto per quel coglione patentato! Quel fumetto-dipendente imbecille! Quello sfigato!»
«Prisca, smettila»
«Non la smetto fino a che mi racconti cos'è successo»
Non ne ho voglia, ma forse sfogarmi con lei mi farà bene.
«Ero lì, che accarezzavo Annibale», esordisco «e a un certo punto sento Ester che ride. La risata proveniva dalla casa sull'albero. Solo che non ci volevo credere. Mi sono avvicinata e ho visto che in realtà c'era la luce, nella nostra casa. Solo che era talmente tenue che non l'avevo notata. Mi sono arrampicata il più lentamente possibile, per non farmi sentire. Ormai, viste le ultime esperienze, potrei essere assunta come assistente di James Bond.
La porta dell'ingresso era socchiusa, ma ho preferito sporgermi e guardare dalla finestrella. E quello che ho visto mi ha scioccato. Avevano coperto la nostra lampada con un telo, così da far meno luce. Ester stava sdraiata sul tappeto e aveva le gambe intrecciate a quelle di Paolo. Giocavano a quel gioco con le mani, quello che ci si deve schiacciare il pollice prima che lo faccia l'avversario. Erano vicinissimi. E Paolo rideva. E lei si appoggiava sul mio cuscino, quello che avevo comprato all'Ikea e che mi piace un sacco, perché è bianco e nero e si vede bene il disegno.
Mi sono voltata e ho deciso di andarmene, di scomparire per sempre dalla vita di Paolo. Lo ammetto, il primo pensiero è stato quello di bruciare la casa con loro due dentro. Però ero troppo agitata e la scaletta ha scricchiolato. La risata di Ester è scemata. Paolo ha aperto la porta e ha guardato in basso. E mi ha visto».
STAI LEGGENDO
Shake my colors
Romanzi rosa / ChickLitATTENZIONE: TROVATE QUESTA STORIA AMPLIATA E CORRETTA IN TUTTE LE LIBRERIE E SUGLI STORE ONLINE, PUBBLICATA DA Sperling & Kupfer! Laura ha diciassette anni e ama il pattinaggio più di ogni altra cosa. È solo lì, sul ghiaccio, che si sente davvero se...