Cap 57

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Non sono diversa dalle altre persone. Ma quando entro all'ospedale di Lecco per la visita di routine agli occhi, mi sento un'aliena.

Non riesco neanche a sentire le parole del medico. Continuo a sbirciare lo schermo del telefono. Ho passato l'intera mattinata di scuola, così.

«Laura, sta parlando con te», mi rimprovera la mamma, dandomi una gomitata.

«Laura, sta parlando con te», mi rimprovera la mamma, dandomi una gomitata

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«Scusi, dottor Remo, non l'ho sentita»

«Dicevo, Laura, se vedi dei puntini bianchi, ogni tanto, o macchie strane. La tua vista è calata ancora»

Scuoto la testa.

«Niente puntini o cose strane»

«Dottore», dice Ross «mia figlia tra un mese ha una competizione importante di pattinaggio. Pensavo, non è che le può prescrivere qualche vitamina, qualche ricostituente... Mi sembra sempre un po' sciupata»

Alzo gli occhi al cielo. Remo mi guarda e strizza l'occhio.

«la medicina migliore sono gli amici, in questi casi», commenta il dottore. Mia madre prende la borsa e si prepara a uscire, un po' stizzita. Lei è convinta che medicine e psicologi risolvano tutti i problemi del mondo. Nessuno, però, le ha mai detto come fare per quel suo dannato tic. Sento che la sua gola è in fermento.

«mamma, che c'è?», chiedo, mentre scendiamo le scale. Intanto ricontrollo il telefono.

«ma niente, se neanche un medico ti prende sul serio, chi può farlo?»

Mi fermo a guardarla.

«papà non ti prende sul serio?»

Ross mi guarda come se avessi detto un'eresia.

«Piccola impertinente, fila in macchina. E non ti azzardare più a chiedere certe cose»

E' sconvolta. Forse hanno litigato.

Comunque secondo me ha ragione il dottor Remo. Gli amici sono le migliori medicine. Peccato che Prisca in questo periodo sia impegnata con la riabilitazione e Paolo è assente da scuola già da due giorni e ha anche il telefono staccato. Stamattina ho chiesto a Ester dove fosse e lei ha corrugato la fronte e mi ha risposto: «Perché lo chiedi a me? Non siete voi i migliori amici?»

Quando arriviamo a casa, dico alla mamma che vado a trovarlo. Lei guarda la casa sull'albero e fa una smorfia.

«Se è lì adesso, sarà morto di freddo»

«Infatti vado a casa sua», ribatto.

Non ho per niente voglia di vedere la mamma di Paolo, ma ho troppo bisogno di parlare con lui. Geo non mi risponde da due giorni né alle chiamate né ai messaggi. Li vede, ma non risponde. Sono passata alla tana dell'Orso ed è chiusa. Non c'è neanche scritto quando riaprirà. Ho un brutto presentimento e voglio parlarne con il mio migliore amico. Prima di citofonare alla casa di Paolo, mi fermo a dare una carota ad Annibale. Mi sembra triste anche lui. Mangia la carota come se mi stesse facendo un favore e mi guarda con occhi passivi, poi mi mostra il sedere e va a rintanarsi nella sua piccola stalla.

«grazie eh? I veri amici si vedono nel momento del bisogno!», gli urlo dietro. Lui raglia una volta, poi si mette a masticare fieno.

«Non ti sopporto quando fai così», dico.

Mi avvio verso la casa di Paolo. Do un'ultima occhiata allo schermo del telefono. Ultimo accesso di Geo: cinque minuti fa.

Gli mando un altro messaggio: Se vuoi dirmi che è finita potresti almeno farlo guardandomi negli occhi.

Visualizzato

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Visualizzato. Poi aggiungo: hai ancora tutti i colori dell'arcobaleno da farmi vedere. Niente. Non accenna neanche a far finta di scrivere. Infilo il cellulare nella tasca del cappotto e mi attacco al citofono.

Lina apre quasi subito. Sembrava non aspettasse altro. Ha i capelli avvolti in uno chignon e le solite occhiaie e tiene in mano alcune forchette.

«Ciao Laura», dice e mi stupisco per quel tono dolce «stavo sistemando le stoviglie. Vuoi entrare?»

«Paolo è in casa?», chiedo, titubante.

«Paolo è... partito»

Ha una voce strana. La voce di una che ha preso troppe gocce per calmarsi. Ha gli occhi lucidi. Decido di entrare. Appena metto piede dentro casa, inciampo su una confezione da sei di bottiglie d'acqua.

«Ma...», esclamo e mi trattengo.

«Vuoi un po' di the?», mi chiede, destreggiandosi nel disordine per raggiungere la cucina. Scavalco un paio di pile di libri e riesco a trovare due spazi vuoti per appoggiare i piedi. C'è sempre più confusione, dentro questa casa. Sono sconvolta. Come diavolo fa Paolo a sopportarlo? Me lo chiedo ogni volta. Poi mi tornano alla mente le parole di Lina: Paolo è partito.

«No grazie, sono a posto», mi affretto a rispondere «ma Paolo dov'è andato?»

Lina sembra venir colta da un attimo di lucidità e si gira a guardarmi.

«Se davvero vuoi saperlo, mi sa che ti conviene accettare la tazza di the».

Sembra quasi una minaccia.

«Okay», dico e sguscio fino al divano, che è pieno di lettere e vecchie carte. Ne sposto qualcuna, e mi siedo su una coperta. C'è qualcosa di duro sotto la coperta, ma non ho voglia di scoprire cosa sia, così rimango lì seduta un po' storta, come se fossi appollaiata su un trespolo.

«Quante zollette di zucchero?»

«Una grazie»

Il the della mamma di Paolo ha un sapore di arancia

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Il the della mamma di Paolo ha un sapore di arancia. Non è affatto male.

«Ecco... Non so se tu e Paolo avete mai parlato di suo padre...»

Annuisco.

«E' morto quando lui aveva sette anni, giusto?»

Lina serra le labbra e mi guarda fisso. Un occhio le trema. Deve essere un tic di cui non mi ero mai resa conto.

«Non è andata proprio così...»

«Come? Non capisco»

«Il papà di Paolo non è morto...»

«Cosa?» Sono letteralmente scioccata. Per poco non mi cade la tazza di the dalle mani.

«Come non è morto?», ripeto, e mi guardo intorno per cercare un posto dove appoggiare la tazza. Sento che non potrei bere un sorso di the in più.

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