Capitolo 43

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«Salve» saluta l'istruttore venendoci incontro. «Voi dovreste essere la coppia Jones.»

Per tutto il tempo che abbiamo già trascorso insieme - circa tre ore - non ho ancora chiesto spiegazioni a Simone per questo appellativo che tutti, oggi, ci hanno affibbiato.
A dire la verità me ne sono completamente dimenticata, presa com'ero dal pensare a non cadere o farmi per l'ennesima volta del male - già mi basta il braccio in via di guarigione.

Simone mi ha trascinato con lui a intraprendere un percorso ad ostacoli nell'ora prima di pranzo.
Oltre al percorso, poi mi ha obbligata a fare una gara di corsa in una pista accanto ad un piccolo parco - ha vinto ovviamente lui. Credo che stesse testando la mia resistenza fisica.

Sono ritornata alla baita distrutta, mentre trascinavo i piedi. Ho fatto una rinfrescante doccia, perché nonostante la temperatura sia più bassa di com'era a valle, rimane sempre alta e tutta quella attività mi ha fatto sudare tutta.

L'ho sentito lamentarsi da dietro la porta chiusa a chiave del bagno perché a detta sua ero troppo lenta. Dovevo muovermi perché anche lui doveva darsi una rinfrescata; ha minacciato di buttare giù la porta quando io rallentavo i miei movimenti apposta e il tempo rimasto a disposizione era poco.

Quando finalmente sono uscita dalla stanza, lui mi ha guardato come se fosse sul punto di uccidermi, e io ho ridacchiato sottovoce dopo essergli apparsa dispiaciuta.

Alla fine ci siamo ritrovati a pranzo insieme agli altri turisti in orario, ma la sua testa grondava ancora d'acqua e ogni tanto qualche gocciolina mi colpiva in faccia.

Nell'ora dopo il pranzo ci siamo invece recati ad un belvedere, dove siamo rimasti seduti sotto il cocente getto di calore del sole per un po', prima di rilassarci all'ombra di un albero, con le pance piene, felici e spensierati.

Quella pace che si respirava è durata comunque poco, visto che ci siamo accorti troppo tardi che era l'ora di recarsi alla lezione.
Perciò abbiamo cominciato a correre come dei matti, vedendo i secondi e i minuti scivolarci addosso.

Siamo arrivati adesso alla base di decollo, con il fiatone, piegati sulle ginocchia cercando di riacquistare un po' di dignità.

«Sì» risponde Simone quando il suo respiro si stabilizza - più o meno -, sotto lo sguardo perplesso dell'istruttore.

«Bene» risponde questo. «Andiamo a prepararci.»

Comincia a parlare di dettagli tecnici, di fili e tubi che compongono il deltaplano, dell'inclinazione delle vele rispetto all'asse centrare, di come funziona, accennando di tanto in tanto a qualche cenno storico.

Poi prende in mano le imbragature di sicurezza, ed è in quel momento che l'adrenalina prende a scorrermi nelle vene, insieme ad un pizzico di paura per quello che sto andando a fare.

«Abbiamo preparato due deltaplani per voi; andrete ciascuno con un istruttore. La ragazza verrà con me» conclude guardandomi qualche secondo di troppo e squadrandomi dalla testa ai... al culo.

«Oh, non ce n'è bisogno» risponde Simone un tantino busco. «Lei viene con me» aggiunge attirandomi a sé con una mano sul mio fianco.

L'istruttore risponde con uno sguardo di fuoco, prima di rispondere anche con le parole: «Ehm... non si può fare. Siete tutti e due inesperti, non possiamo permettere che...»

«Pratico questo sport da anni» lo interrompe Simone. «Ecco qua» dice tirando fuori  un pezzo di carta.

Prima che glielo porge intravedo di sfuggita la parola Attestato scritto a caratteri cubitali. Probabilmente è un certificato di partecipazione a qualche corso di deltaplano.

A summer to liveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora