Per dirti ciao, Tiziano Ferro

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FEDERICO CHIESA
"È una bella giornata oggi"dissi rotolandomi tra le lenzuola, colpii Tea che emise un lamentoso "Noooo"
"Come no?"
"Stavo dormendo"
"Falsa" le dissi tirandola a me
"Perché è una bella giornata?" Mi chiese
"Perché ho il weekend libero quindi mi sono svegliato accanto a te"
"Smielato" commentó con cinismo strofinando il naso nell'incavo tra il mio collo e la spalla
"Acida...stasera vedo i ragazzi"
"Non andare via" si lamentò abbracciandomi
"Vado via verso le sei"
"È troppo presto" disse lasciandomi dei baci per corrompermi
"Non ero io quello smielato prima?" le rivolsi un sorriso di vittoria che ricambiò con una linguaccia.

"Ciao babbo" risposi al telefono collegato alla macchina
"Ciao Fede, come va?"
"Tutto bene, sono in macchina con Tea"
"Buongiorno Enrico" salutò Tea
"Ciao Tea, come stai?"
"Bene grazie, lei?" Tea dava sempre del lei, a chiunque non conoscesse a parte i bambini e quelli della mia età. Biraghi se l'era presa malissimo quando gli aveva dato del lei. Era buffo ma tremendamente rispettoso, e mi piaceva.
"Bene bene grazie, quali sono i piani per oggi?"
"Mare"
"E partite così tardi?" Tea diventò rossa per l'imbarazzo sia perché credeva che mio padre pensasse che avessimo dormito la mattina e non questa notte, sia perché in realtà il ritardo era colpa sua.
"Tranquillo, siamo a buon punto" lo rassicurai "facciamo un paio d'ore e verso le sei vedo i ragazzi"
"Salutameli, devo lasciarti ora Fede, buon divertimento" chiuse la chiamata
"Ora sa che scopiamo" si lamentò Tea
"Lo sa già da un po'" la rincuorai
"Come?cosa? Glielo hai detto? Quando?" iniziò ad agitarsi
"Tea, ho 20 anni, una ragazza e un pene, non ci vuole un genio" sbuffò, ma poi se ne uscì con una di quelle frasi con cui solo lei se ne poteva uscire "Hai mai sentito parlare di road head?" disse muovendo la mano su per la mia coscia
"È un tentativo di suicidio?" le chiesi afferrando più saldamente il volante
"Quando siamo fermi in coda, lo giuro" disse facendomi l'occhiolino

"Non è possibile che non sia ancora arrivato" esclamò Matteo
"Qualcuno ha provato a chiamarlo?" chiese Pietro
"Si ma non risponde, l'avrà perso chissà dove come al solito" gli rispose Gianmarco. Ma erano passate già due ore e Vittorio non si era ancora fatto vivo.
"Io vado a cercarlo a casa sua" Matteo si alzò, stanco di aspettare più che il suo migliore amico, la sua anima gemella. Matteo e Vittorio conoscevano l'altro più di sè stessi, amici com'erano da quando indossavano ancora il pannolino. Non conoscevo amicizia più vera e forte della loro.
Noi pagammo in velocità e lo seguimmo, casa di Vittorio non era lontana dal bar, e neanche da casa di Matteo, ovviamente.
"Maria, sono Matteo" disse il nostro amico al citofono "c'è Vittorio?"
"È andato dal ferramenta un bel po' di tempo fa, ma poi non doveva uscire con voi?"  rispose la madre di Vittorio
"Si, ma non è ancora arrivato e non risponde al telefono" le ultime parole vennero sovrastate dal suono di in ambulanza che passava nelle vicinanze
"Chissà.." iniziò Maria, ma Matteo aveva smesso di ascoltarla, si stava voltando verso di noi terribilmente piano e quando fu girato del tutto la sua faccia era pallida cadaverica, gli occhi spalancati, poi, improvvisamente, iniziò a correre. Lo seguimmo tutti, avendo capito subito perché stesse correndo.
"Matteo, fermo cazzo, andiamo in macchina" urlò Pietro arrivando a prenderlo per il colletto. Pietro bruciava quasi tutti nella corsa, con me ancora faceva fatica, tanto era abituato a scappare dalla polizia quando lo beccavano a disegnare sui muri
"La mia" non avevo parcheggiato lontano e sinceramente in quello stato mi fidavo solo di me stesso. Matteo salì, anzi, si buttò sul sedile anteriore
"Federico, muoviti, accendi sta macchina, veloce" urlò
"Stai calmo, non ho intenzione di fare un incidente e non siamo neanche sicuri che in quell'ambulanza ci sia Vittorio" risposi con una certa agitazione; Matteo si limitò a tirarmi un'occhiata glaciale, lui era sicuro che fosse Vittorio, e se era sicuro lui, probabilmente aveva ragione.

La certezza che fosse Vittorio l'avevamo avuta solo quando un quarto d'ora più tardi erano arrivati i suoi genitori.
Gianmarco camminava ormai da due ore con le mani dietro la schiena, come a cercare di alleggerirla da un peso invisibile, ormai stava consumando tutto il pavimento. Pietro si era accampato nello spazio all'esterno dell'edificio più vicino possibile alla sala d'attesa dove eravamo, potrei giurare che il pacchetto di filtrini fosse praticamente pieno quando eravamo al bar e ora ne rimaneva uno solo. Io facevo avanti e indietro per non lasciarlo solo, e perché mi rendeva tremendamente triste non riuscire a piangere. Eppure non ce la facevo proprio, però dicono che sia normale che a volte va così. Quando ero in sala d'attesa guardavo Matteo, le sue guance ormai erano erose dalle lacrime che non avevano mai smesso di scendere, a volte muoveva le labbra e lo capivi che stava pregando.
Uscii, Pietro stava ormai spegnendo l'ultimo mozzicone
"Ne vorrei un'altra" mi disse "ma non voglio allontanarmi da qui, non finché so che è sotto i ferri"
"Lo capisco..." sapevo esattamente cosa fare, chiamare Tea. Non perché avevo bisogno che qualcuno portasse le sigarette a Pietro, ma per quanto fosse egoistico avevo bisogno che qualcuno confortasse me. Avevo pensato di chiamare Tea già mezz'ora fa, ma non ero sicuro fosse la scelta migliore, i motivi erano tanti. Però Pietro aveva bisogno delle sigarette, e magari gli altri di qualcos'altro "ora te le porta Tea" gli dissi, lui annuì senza dire nulla, presi il telefono e la chiamai
"Ehi bellissimo" disse con una voce che nascondeva la stanchezza
"Che stai facendo?"
"Fede? Stai bene?"
"Non preoccuparti di me" il mio tono ora era decisamente irritato "che cazzo stai facendo?"
"Sto studiando" rispose timorosa, impaurita
"Puoi venire in ospedale?"
"In ospedale? Perché?"
"Cazzo, Tea, rispondi e basta. Puoi venire in ospedale?" Tirai un calcio contro un sasso
"Certo, certo, in ospedale. Arrivo"
"Aspetta, porta sigarette, un paio di cuscini e qualsiasi cosa tu pensi che sia necessaria, sala d'attesa del terzo piano" riattaccai, poi mi voltai verso Pietro "Arriva"
"Diciamo che con il tono che hai usato sarebbe arrivato anche il papa" voleva essere una battuta mista a un rimprovero ma anche Pietro non accennò il benché minimo sorriso. Tornammo dentro, Gianmarco continuava a camminare, Matteo sempre immobile nella sua posizione, gli parlai ma non rispose, aveva smesso di parlare con l'arrivo dei genitori di Vittorio, che non erano nella nostra sala d'attesa, i pianti della madre erano troppo da sopportare.
"Vi ricordate quanto era felice quando gli abbiamo organizzato la festa a sorpresa per i diciotto anni?" chiese Gianmarco. Vittorio era felice come una pasqua, non la finiva più di sorridere, e ridere e saltare e ballare. Al ricordo accennò ad un sorriso pure Matteo
"E quando siamo andati a sentirlo suonare il pianoforte?" disse Pietro, annuimmo tutti
"I compiti di matematica sempre copiati da lui" aggiunsi
"E quando guardava le stelle le notti che dormivamo da me" Matteo parlò per la prima volta, la voce che non sembrava neanche la sua, poi aggiunse
"Ora tocca a te Vittorio dire qualcosa"
e lì piansi.

Per dirti ciao, ciao mio piccolo ricordo in cui nascosi gli anni di felicità

90° minuto || Federico Chiesa Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora