He's in peace

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23 Settembre, 2015
Jemy

Che poi io questo appartamento lo odio.
Dalle tende bianche della mia stanza al frigorifero di ultima generazione che mi ostino a lasciare vuoto, per non parlare del divano in pelle nera che avevo costretto i miei genitori a finanziarmi con la scusa che quest'anno avrei cominciato per davvero l'università ed invece non avevo neanche avuto l'intenzione di capire quale facoltà scegliere o quanto avrei speso per la rata di iscrizione. Pensavo di essermela scampata, di averla fatta franca, tanto i miei vivevano solo per il loro lavoro. Da quando ero piccolo l'unica cosa che si poteva dire dei miei genitori era che lavoravano. Lavoravano e basta. Tuttavia sapevano sempre tutto quello che mi accadeva, ogni mia piccola scelta, loro lo sapevano, mia madre lo sapeva.
Sempre. E così anche quella volta avevano scoperto che lavoravo per uno studio di tatuaggi di un mio amico di scuola, conosciuto a Roma. Un tipo strano ma con cui il divertimento era assicurato, in più mi aveva aiutato a trovare quel piccolo svago, nonché io avessi bisogno di guadagnare soldi, ma almeno impiegavo le mie giornate in qualcosa di produttivo.
Ma io stavo bene così. Anche se lo odiavo quell'appartamento, avevo creato lì il mio mondo. Nessuno che entrava quando voleva, nessuno che mi continuava a recitare come un mantra ciò che era giusto nella vita, nella mia vita. Io che nella mia vita non volevo sapere cosa fosse giusto fare, perchè se avessi fatto la scelta giusta non avrei tutti quei rimpianti che la notte mi si attorcigliavano nello stomaco.
A me stava bene quella situazione, non avevo bisogno di lauree o di un lavoro decente, non avevo bisogno di dimostrare niente a nessuno, volevo continuare a vivere tranquillamente, soprattutto perché ero sempre stato bravo a cacciarmi nei guai. E se non era per qualche amico, a quest'ora non avrei potuto godermi la pace di quell'appartamento.
Sono sdraiato sul mio letto quando sento suonare il citofono ed ecco che tutta la pace di cui vantavo, è di nuovo una fantasia. Alzo gli occhi al cielo, erano solo le quattro del pomeriggio, ed era sabato, chi diavolo mi disturbava?
Vorrei far finta che non sono in casa, ma il citofono suona di nuovo, evidentemente è qualcuno che conosce i miei trucchetti. Mi alzo pesantemente dal letto e quando mi guardo allo specchio ho i capelli così spettinati che non posso fare a meno di passarci una mano per aggiustarli. Sono così scocciato che il citofono sembra lontanissimo, ma quando intravedo la figura austera di mia madre quasi mi viene voglia di urlare. Non rispondo, le apro direttamente il portone, posso scorgere la sua espressione contrariata prima che sparisca all'interno del palazzo. Apro la porta e aspetto che l'ascensore salga.
Se mia madre è arrivata fino a casa mia è perché sicuramente avrà qualche rottura di scatole di cui rendermi partecipe.
Mi saluta con un veloce bacio sulla guancia, poi entra, mi chiede cosa ho mangiato e si siede sul divano in pelle che lei stessa aveva pagato. È agitata, lo capisco dal modo in cui ha poggiato la borsa sulle sue gambe, e sospetto che sia anche di fretta.

-Io e tuo padre abbiamo preso una decisione, Jemy-

Non sono preoccupato, mia madre è solita esprimersi con questi incipit che alludono al tragico. Sicuramente vorranno dimezzarmi le spese, ma finché mi pagano l'affitto di casa non ho timore di nulla. Vorrà dire che lavorerò di più allo studio.

-E quale sarebbe questa volta, mamma?-

Mia madre contrae la faccia, non le piace quando mi rivolgo a lei in quel modo strafottente.

-Non smetterai mai di avere questo atteggiamento, Jemy? Ti ho detto mille volte che non ti porterà da nessuna parte -

Prendo a calci una delle mie ciabatte e sbuffo sonoramente trattenendo una bestemmia, ma quella donna non faceva altro che darmi contro, che sottolinearmi tutto quello che avevo sbagliato nella mia giovane vita.

-Diamine, vuoi dirmi che succede?-

Sono impaziente, non riesco a tollerare più la sua presenza lì. Voglio che se ne vada il prima possibile.

-Io e tuo padre abbiamo deciso che andrai a vivere con tuo zio Frank, non pagheremo più questo affitto fino a che non avrai intenzione di frequentare l'università-

All'improvviso sento un nodo alla gola.
Avrei dovuto rinunciare a quel piccolo mondo che avevo faticato a creare unicamente per me, per tornare nella stessa città in cui avevo lasciato un altro mondo. Un mondo in cui dovevo rispondere ancora a molte domande.

救い出すよ必ず// I'll Save uDove le storie prendono vita. Scoprilo ora