Stairs

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13 Ottobre, 2015
Yu

Non mi svegliavo così presto da quando  andavo a scuola. Ed avevo freddo. Lo stesso freddo che provavo ogni mattina quando scendevo di casa, con la solita felpa nera, che mi ostinavo a mettere almeno tre volte alla settimana perché l'unica che mi faceva sentire a mio agio, che mi nascondeva dal resto del mondo. Anche quella mattina avevo la felpa nera e, come mia consuetudine, avevo il cappuccio tirato completamente su. E doveva essere così coprente che il barista mi aveva guardato male quando ero entrato e gli avevo chiesto un caffè, con voce mono tona. Amaro, nero, come quello che avevo sempre provato nei confronti della vita. Ma soprattutto come quello che provavo in quel preciso momento, in attesa di varcare quella porta che, perfino da quel bar, riuscivo a vedere con ansia. Alla fine mi ero deciso, o quasi. Era la seconda volta che mi svegliavo alle otto di mattina dello stesso giorno della settimana, con in mano tutti i miei documenti, ma con una paura grande quanto una voragine nello stomaco. Questa volta non potevo tirarmi indietro, questa volta dovevo farlo davvero. Lo dovevo a mia nonna, a mia madre, e mia sorella. Lo dovevo a mio padre che non poteva riposare con il dispiacere di aver fallito con l'unico figlio maschio della famiglia. E lo dovevo a me stesso. Butto il caffè nello stomaco in un solo sorso senza togliere lo sguardo da quella stessa porta che in realtà conoscevo così bene. Saluto distrattamente, ho ancora la voce roca, e da lontano sarebbe facile scambiarmi per un Mangiamorte. Soprattutto perché sono terribilmente pallido e rachitico. Sono così magro che a stento riesco a guardarmi allo specchio. Nell'ultimo anno poi, avevo decisamente fumato e bevuto troppi alcolici, non riuscivo a mangiare nulla perché ero così demotivato che perfino i bei pranzi di mia nonna non avevano più lo stesso sapore. Ma questa volta volevo avere lo stesso coraggio che aveva avuto Joon. Volevo ricominciare da dove avevo lasciato un pezzo del mio cuore.
Il portone d'ingresso è sempre lo stesso, antico, enorme. Questa volta riesco a varcare la soglia ed il solito atrio austero mi si staglia davanti. Alla portineria un vecchio signore mi guarda incuriosito, mi avvicino e gli chiedo dove posso consegnare i miei documenti per l'iscrizione di quell'anno. Mi indica le scale.

-Primo piano, terza porta-

Lo osservo abbassare la testa sul suo giornale e ingoio la saliva. Stavo finalmente iscrivendomi. Stavo ridando un senso alla mia vita.
Le scale sono di fronte me, larghe, di marmo. Mi creano soggezione. Mi hanno sempre creato soggezione.
Comunque non posso rimanere tutto il giorno ad osservarle e senza badare allo stomaco in subbuglio, salgo quelle stupefacenti scali.

-Se non eseguo perfettamente Liszt, sono fuori dal gioco-

Due ragazzi, un maschio e una femmina, mi passano accanto scendendo le scale. Stanno parlando di qualcosa di così familiare, che mi sembra di essere tornato a casa. E sono così presi dalla loro conversazione che non notano la mia presenza.

-Ma se sei perfetto quando la esegui, la prof Marina è follemente innamorata di te-

La ragazza lo sta visibilmente prendendo in giro. Ed infatti l'ultima cosa che sento è la voce del ragazzo che la rimprovera.

Liszt, lo avevo scelto per l'esame di pianoforte del mio quinto anno.

救い出すよ必ず// I'll Save uDove le storie prendono vita. Scoprilo ora