Capitolo 33

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Intorno a me, c'è il bianco.
Non so da quanto tempo ho aperto gli occhi, da quanto sono qui o dove sono. Sono solo e sento a scatti delle voci. Sono preoccupate, sono determinate.
Sono voci da chirurghi.
Mi guardo in giro, in cerca di una soluzione o di un' uscita.
Ahia! Mi tocco di sfuggita la spalla.
Braccio rotto, contusione al gomito.
Sibilo dal dolore e mi tengo l' orecchio.
Resti di vetro nel lobo e nella guancia.
Cado in ginocchio, urlo in modo strozzato.
Difficoltà respiratorie. Schiacciamento della gamba sinistra, femore rotto.
Che diavolo sta succedendo?
Riprendo a respirare con calma e torno in piedi in modo traballante. Sto impazzendo, che mi prende? Dove sono finito? E perché cazzo non ricordo niente?!
Tento di tornare in me, di ricordare cosa mi è successo e perché. Ero al college? No, ci stavo andando, quindi ero al dormitorio. C'entra Harry? No, sento che Mr. Occhi di Ferro stavolta non è colpevole di nulla. Bene, quindi se stavo andando al college... la mia auto! Ho avuto un incidente in auto!
-Ma perché ce l' hai con me?! Solo perché, qualche volta, non sono venuto in chiesa?!- grido ai quattro venti, sentendo di risposta solo un eco.
Perfetto, sono morto.
Nah, non sono morto, sennò questo posto sarebbe affollato.
Perciò sono... nel mezzo? Seh, nella Terra di Mezzo.
Mi passo le mani sulla faccia, confuso al massimo e con un mal di testa micidiale. Non appena i miei occhi si liberano di nuovo, mi ritrovo di fronte un bambino. Credo che abbia sette o otto anni, i suoi capelli castani sul biondo gli toccano le spalle dietro e il collo, i suoi occhi sono grandi e meravigliosamente azzurri lucenti. Le guance sono paffute, porta una maglietta scura degli Chicago Bears e dei pantaloncini corti mimetici coi sandali.
È bellissimo.
Mi guarda in un modo che non comprendo, così intimo e dolce che mi lascia senza fiato. Ho la sensazione di conoscerlo. Una scarica mi attraversa la schiena. Può essere... che sia...?
-Troy?-
Il bambino mi sorride, ma non è felice. -Ciao, papà.-
Mi viene un groppo in gola. "Papà". Mio figlio.
-Mio Dio... sei così... quanti anni hai?- con le lacrime agli occhi, mi inginocchio per essere alla sua altezza e gli sorrido. -Sette e mezzo.-
-Wow, sette e mezzo! Sei un ometto.- gli passo una mano tra i capelli lisci e gli accarezzo il viso. Troy continua a guardarmi, ma non fa una smorfia e sembra che stia parlando con uno sconosciuto. Corrugo la fronte e tento un nuovo approccio: -Come mai porti questa maglietta?-
-È la squadra di football che tifo.-
-E perché non i New York Giants come tua zia Lacy?-
-Chi è zia Lacy?-
Cosa?
Sgrano gli occhi e lo fisso sconcertato. -Come chi è zia Lacy? Non ho fatto in modo che ti battezzasse lei o tuo zio Niall? Non sono la tua madrina e il tuo padrino?-
-Il mio padrino si chiama Wade e la mia madrina Wendy.- parla con ingenuità e ricordo due ex amici di Rose del liceo. O meglio il suo ex scopa-amico e la sua amica cheerleader.
Non ha mai conosciuto i miei amici.
-E poi perché dovrei tifare una squadra di New York se vivo a Chicago?- mi riattira a sé con la sua domanda e la mia mente torna a riempirsi d' aria. Ora mi sto seriamente confondendo. Guardo mio figlio e ho una brutta sensazione. -Piccolo, ora ti farò varie domande, voglio che tu mi risponda sinceramente, d'accordo?-
-Sì, papà.-
-Bravo, campione. Allora... perché dici di vivere a Chicago?-
-Perché io, te e la mamma viviamo lì.-
-Da quanto viviamo a Chicago?-
-Da sempre.-
-Con "sempre" intendi sin da quando ne hai memoria?-
-Credo di sì. Però tu e mamma mi avete detto che sono nato a Cleveland.- il mio bambino annuisce e sento la terra tremarmi sotto i piedi. Se adesso Rose è al quinto mese e i bambini iniziano a ricordare verso i quattro anni, allora ci siamo trasferiti lì subito dopo che ho finito gli studi a Londra. Ma, negli altri anni, io e Troy siamo stati lontani.
Santo cielo...
E comunque, com'è possibile? Come siamo finiti a Chicago? Io... io non voglio andare a Chicago.
-Troy, amore, tu... tu sei felice?- arcuo un sopracciglio e deglutisco, sento il battito che mi pulsa nelle orecchie. Mio figlio resta in silenzio per qualche secondo, come se avesse paura di rispondere, poi sussurra: -No.-
Dio.
-Perché no?-
-Tu e la mamma litigate sempre. Non ci sei mai perché lavori e quando ci sei litighi con lei. La maggior parte del tempo lo passo con mamma o nonna Elle.-
Mi mordo un labbro, come per punirmi. Avevo ragione, sono un pessimo padre. -Che lavoro faccio, figliolo?-
-Lo psicologo. Spesso aiuti la polizia o ti chiama l' FBI.-
Fantastico, proprio come vuole mia madre. Mia madre, non io.
-Scommetto che metto spesso te e mamma in pericolo, giusto?-
-Esatto.-
-E la mamma? La mamma come sta?-
-La mamma piange.-
-Perché la mamma piange?-
-Non lo so. A volte dormo con lei per farla sentire meno sola, le notti in cui tu non torni a casa. Dice sempre lo stesso nome mentre dorme.-
Chiudo gli occhi e sospiro, mi sento colpevole come un criminale. Perciò Rose è innamorata o lo sarà. Complimenti, Tomlinson, rovini sempre tutto.
-Suppongo che tu sia figlio unico, vero?-
-Purtroppo sì.-
-Volevi dei fratellini?-
-Mi sarebbe piaciuto, ma tu e mamma non riuscite nemmeno a stare nella stessa stanza, vi odiate.-
Un pugno invisibile mi colpisce lo stomaco e sento che sto per vomitare oppure svenire. A parer mio, un bambino non dovrebbe mai e poi mai scoprire o intendere il significato della parola "odio".
-Perché, papà?-
-Perché cosa, amore?-
-Perché vi siete sposati?- la sua espressione è seriamente smarrita e questo mi preoccupa. -Non siete felici, vi urlate sempre, volevate punirmi?-
Cristo Santo.
-Troy, no, tesoro... tu non c'entri. Anzi, tu sei stato uno dei motivi principali per la quale ci siamo sposati.-
La sua faccia diventa una maschera di dolore e spavento. -È colpa mia?-
-Cosa? No, no, piccolo, non è colpa di nessuno.-
-Vuoi farmi fare la vita di Harry?-
Che?
Tutto il mio corpo diventa freddo e duro come la roccia. Provo a parlare, ma la mia lingua è come immobilizzata.
-Parli di lui quando bevi da quelle strane bottiglie puzzolenti che nascondi in cantina. Lo fai soprattutto quando mamma non c'è. Urli e parli di lui. Dici che ha avuto una brutta famiglia, che non lo amava come tu amavi lui. Chi è Harry, papà?-
I miei occhi finiscono a fissare il pavimento. Alcolizzato, sono ancora alcolizzato. Anche dopo la nascita di mio figlio, nel bel mezzo della sua infanzia... Harry... mio figlio sa di Harry. Penso ancora a Harry dopo tutti questi anni... E sto facendo vivere a Troy la sua stessa vita, con il terrore che i suoi genitori si possano uccidere a vicenda da un momento all' altro.
-Amore, io... non hai idea di quanto mi dispiaccia.-
-Tu e mamma odiate me? Per questo mi spaventate con le vostre grida?- il mio bambino è sull' orlo di un pianto isterico e respira a fatica.
No! No, tesoro mio, no... Che cosa ho fatto?
-No, piccolo mio, ascoltami. Io ti voglio un bene dell' anima, ok? Sei la mia vita. Non so perché ti faccio del male, io e tua madre vogliamo soltanto darti una famiglia.-
Troy scuote furiosamente la testa e si allontana da me. -La famiglia non è un uomo, una donna e un bambino. La famiglia è ovunque si trovi l' amore!- grida furioso e dal bianco appare l' oscurità, alle sue spalle, che lo porta via.
No!
-Troy, no, aspetta! Posso cambiare, posso migliorare!-
-Sei mio padre, dovresti proteggermi!-
-Troy, non andartene! Posso migliorare, ti dico! Posso migliorare!-

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