Capitolo 55

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Dedicato a chiunque ha subito o sta subendo violenza psicologica, fisica e/o sessuale.

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Entriamo nell' ospedale con nonchalance e io getto delle occhiate a chiunque: medici, infermieri, pazienti... ma nessuno mi nota. Mi fa persino rabbia che qui non abbiano alcun allarme. Chiunque, come Amber, può tranquillamente entrare qui e fare una sparatoria.
La mia sequestratrice preme un pulsante e rinchiude entrambi in questa stanza di metallo, nel silenzio più totale. Non sento altro che i nostri respiri, il mio è più pesante del suo. Va tutto bene, Harry ha ricevuto la mia chiamata, sa dove sono. Chiederà aiuto e verrà a prendermi coi rinforzi, ne sono certo.
Usciamo dall' ascensore insieme, arrivando al nono piano. Cammino con passo incerto nel lungo corridoio, fatto con piastrelle di ceramica fredda e bianca. Alle mie spalle, quasi attaccata alla mia schiena, sento la sua presenza ingombrante. La bocca della pistola, sempre nascosta sotto la sua felpa, spinge con fare minaccioso contro il mio fianco. Una goccia di sudore mi scivola dalla tempia fino alla mascella.
Tutto il mio corpo mi sta pregando di urlare, di scappare o addirittura di rannicchiarmi a terra in posizione fetale. Le mani mi tremano, vanno a scatti, e le gambe sono diventate pesanti. Deglutisco a vuoto.
Harry, dove sei?
-La regola del fast food vale anche qui: se non fai quello che ti dico o tenti la fuga, uccido chiunque si trovi vicino a noi e la colpa sarà soltanto tua.- sussurra con voce controllata e mi prende il braccio, fermandomi di fronte a una porta a doppia anta bianca con affianco delle scale che portano sia al piano di sopra che a quello di sotto.
Amber apre un'anta e mi fa entrare. Resto senza parole di fronte allo "spettacolo" che mi ritrovo a guardare.
Oh... Dio... cosa...?
Dodici letti, sei a lato, sono ospitati da dodici persone diverse, che a loro volta vengono aiutate da una decina di infermieri. Queste persone sono tutte di svariate età - chi attaccato alla flebo, chi gioca da solo o a coppia a qualche gioco da tavolo, chi conta qualunque cosa gli capiti fra le mani -, ma solo una di loro è una ragazza giovane, mia coetanea, dai lunghi ricci rossi e la pelle bianca.
Le uniche cose che la rendono uguale agli altri sono il camice da paziente e una benda bianca intorno alla testa.
Grace.
Tutto il mio mondo casca ai miei piedi. Io le ho fatto questo? Per questo Amber ha cercato vendetta? Psichiatria. L' ho fatta finire in psichiatria.
-Va' da lei. Parlale, chiedile scusa, non me ne frega un cazzo. Io ti aspetto qui fuori.- il tono di Amber sembra tanto quello di un militare che dà ordini e mi spinge lievemente verso la sorella.
Non posso non obbedire e sento la porta chiudersi. C'è talmente tanto profumo di disinfettante e sapone che mi fa pizzicare il naso e il troppo pulito di questo posto mi mette i brividi.
Più mi avvicino a lei, più mi sento andare in fibrillazione. È seduta sulle sue caviglie, inginocchiata sul letto e di fronte a lei c'è il muro con col cuscino poggiato a esso.
Intorno alle sue gambe regnano parecchi giochi di società, come gli scacchi, dei dadi, delle carte da poker, scarabeo e scrabble. La vedo muoversi velocemente con le mani; sta unendo tutti i giochi contemporaneamente secondo una sua logica e l'unica cosa che capisco è che deve aver fatto tutte le sue mosse prima che il carillon sul suo comodino smetta di suonare.È un carillon azzurro, una scatola con una ballerina dorata e lo specchio.
Guardo di sfuggita gli occhi del mio primo amore: sono scuri, quasi senza luce, e di certo non era così che me li ricordavo.
Merda, Grace... quanto mi dispiace.
Prendo sottomano una delle sedie destinate ai visitatori e mi siedo vicino a lei. Grace non mi guarda, forse non si è neanche accorta della mia presenza oppure mi ignora e basta. Ha tutte le sue buone ragioni per farlo.
-Ciao.- prendo parola, -So che, di certo, non ti saresti mai aspettata di vedermi... eppure eccomi qua.- la mia voce trema e stringo forte le dita tra loro.
Tutto questo mi sembra un sogno o un incubo. Non posso credere di averla qui, davanti a me, e di averla ridotta in questo modo.
-Non merito il tuo perdono, proprio come non merito il beneficio del dubbio. Se mi senti, se sai che sono con te, adesso, ti prego solo di ascoltarmi. Sennò... pregherò fino alla morte che le mie parole ti raggiungano, ovunque tu sia.- mi passo la lingua fra le labbra e respiro velocemente, -Tua sorella mi ha portato da te, ti vuole molto bene. Lo ha fatto con la forza, certo, ma... ora sono solo felice di essere qui, perché finalmente posso dirti tutto quello che non ho potuto spiegarti in questi anni.- mormoro con difficoltà e lei continua a non prestarmi attenzione, troppo presa dai suoi giochi.
L' adrenalina mi fa salire una scarica elettrica lungo la spina dorsale. -Non so spiegarti perché ho fatto quello che ho fatto, quella notte, ma ti giuro sulla tomba di mio nonno, il quale è stato per tanti anni mio padre, che non ero in me. Non ero cosciente delle mie azioni, però, se lo fossi stato, avrei preferito tagliarmi le mani piuttosto che mettertele addosso.- mi cede il tono all' ultima frase e mi si affacciano prepotenti le lacrime agli occhi.
Mi sento una merda, tutto questo pare così surreale.
Se solo potessi tornare indietro...
-Il punto è che...- vengo interrotto da un singhiozzo che salta fuori fortemente dalla mia gola, -... farò tutto quello che serve per aiutarti. Qualunque cosa. Perché ti ho amata così tanto da ucciderti.- prendo a piangere.
Mi passo una mano sul viso umido di lacrime e respiro profondamente. Fisso il suo profilo con insistenza: -Perché eri la mia ossessione, la mia prima cotta, e io ero solo uno stupido ragazzino irresponsabile che non ragionava mai su quello che faceva.- dico, il corpo leggermente piegato in avanti verso di lei. -Sei stata e farai sempre parte della mia vita.- soffio distrutto e mi rendo conto che i suoi movimenti sono leggermente più lenti rispetto a prima.
Sì, Grace! Reagisci!
-Spero sinceramente che tu stia meglio presto, così potremo dialogare senza problemi. Nel frattempo, voglio che tu sappia che... mi dispiace da morire, Grace.- termino il mio discorso, sentendomi libero come non mi è mai successo.
E piango, lascio andare tutto, sfogandomi con le lacrime e tremando da capo a piedi. Questa storia mi ha tormentato per tanto tempo e adesso, che ho chiesto scusa a Grace dicendole la verità, il peso che portavo è scivolato via dalle mie spalle come acqua piovana.
Non ho più paura, non temo più che Amber possa uccidermi... non ho il terrore della morte. Perché so che me ne andrei con l'anima pulita. Se appena usciti di qui Amber mi toglierà la vita, così sia.
Certo, mi fa soffrire la sola idea di non rivedere mai più la mia famiglia, i miei amici e Harry, ma è ok. Va bene così.
Mi sta bene.
La mia cascata di pensieri interrompe il suo percorso non appena i miei occhi intercettano un movimento. Grace ha lasciato cadere dalla sue mani i giochi che stava tenendo e volta con lentezza la testa nella mia direzione. I capelli color del fuoco le sfiorano delicatamente le guance un po' rosse, gli occhi verdi e tetri sono sgranati in un misto tra paura e confusione. -Grace?- sussurra, aggrottando le sopracciglia e la dolce e soave sinfonia del carillon si ferma, assieme alla sua ballerina.
Cosa?
La guardo, non capendo il senso della sua domanda. Scruto con attenzione il suo viso lentigginoso, il naso piccolo e a patata, la bocca sottile, le guance rotonde, i lineamenti soffici, gli occhi verdi scuri... troppo scuri per essere della Grace che mi ricordo io.
Aspetta un attimo...
Sento un freddo glaciale che si impossessa delle mie ossa e mi si ferma il fiato in gola.
Sono scuri geneticamente, non sentimentalmente!
La persona davanti a me non è Grace. Ma allora... oh, cazzo.
-Ciao. Sono Louis.-
-Amber.-
A Grace piaceva leggere.
-Ti piace leggere?-
-Ti prego, non dirlo a nessuno.-
La prima volta che le ho parlato stava mangiando una mela verde.
-Vuoi tu la mia mela verde, Louis?-
Era contro la violenza.
-Keira e Alden, nel giardino sul retro, si stanno picchiando e nessuno vuole fare niente! Aiutatemi, vi prego!-
E quei fottuti. Occhi. Verdi.
Porca puttana!
-Oh, no. No. No, no, no, no, no...!- mi alzo così di fretta da far cadere una sedia, rimproverato per questo da qualche infermiere, e corro fuori dalla stanza.
Quasi non inciampo nell'aprire le ante della porta e cerco lei con lo sguardo, ma non la trovo da nessuna parte. Ad un suono preciso la testa scatta verso l'alto, dietro di me e alla mia sinistra. Vedo le sue scarpe sulle scale che corrono velocemente di sopra e non ci penso due volte a seguirla.
Mi ha mentito per tutto questo tempo!
I miei piedi restano neanche un secondo su ogni gradino. Corro su per le scale come se ne valesse la mia vita, perché so cosa ha in mente di fare.
Mi gira quasi la testa per via di queste dannatissime scale a chiocciola che si fermano a ogni piano, i quali mi sembrano infiniti.
Scorgo le sue caviglie e ad un tratto si ferma, attraversando una porta... quella che conduce al terrazzo.
NO!
Salgo con uno scatto gli ultimi scalini col fiatone e spingo con forza la porta d'acciaio pesante.
-Grace!- urlo così forte da fare eco nel cielo e sento il cuore esplodermi nel petto, perché lei è lì, in piedi sul pendio e pronta alla morte.
Non è Amber... è Grace.

One Hundred's TrilogyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora