1. Un letto che non è il mio

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Isabelle

Mi sveglio di colpo sopraffatta da un incubo terribile: Io in discoteca con le mie amiche, le luci che colorano la mia pelle e il vestito pieno di paillettes. Ho bevuto un po’ troppo forse, ma è una delle poche sere in cui posso stare insieme alle mie amiche, lontana da Mike e dalla mia famiglia.

Sto ansimando e sono madida di sudore, la testa mi pulsa ferocemente e non riesco a inquadrare bene la stanza, vedo tutto sfocato e la penombra in cui è avvolta non mi aiuta per niente.

Vedo un uomo a poco distanza da noi. Capelli neri, indossa una maglietta a maniche corte bianca e un paio di jeans neri. È seduto in uno dei divanetti del privè. Ogni tanto lo vedo gettarmi uno sguardo, mentre parla con l’uomo biondo seduto accanto a lui. Sembra piuttosto bello, o almeno è ciò che l’alcool mi fa vedere. Mi pare di conoscerlo, ma non ne sono sicura, la testa che vortica, come fossi sulle montagne russe, non mi è molto d’aiuto.

Un sudore gelato bagna il mio intero corpo, che scopro essere nudo sotto le lenzuola leggere.
Mi fanno male le braccia e mi rendo conto, con orrore, che sono legata per i polsi alla testiera del letto. Un letto che non è il mio, in una stanza che non riconosco.
Sgrano gli occhi sconvolta e lancio un grido di orrore, mentre cerco di strappare le corde, muovendo disperatamente le braccia.

Il moro mi sorride e un brivido percorre la mia schiena. Perché dannazione mi fissa così? Sono incuriosita e allo stesso tempo spaventata. Sento che c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui mi guarda. Il suo viso inoltre mi è così familiare, ma non riesco a concentrarmi.
L’alcool mi destabilizza.
Lui mi destabilizza.

Deglutisco a fatica, frustrata e arrabbiata perché non riesco a liberarmi, più mi muovo e più le corde si stringono ai miei polsi bloccandomi quasi la circolazione.
Un mugolio di dolore esce dalle mie labbra socchiuse.
Ed è proprio in quel preciso istante che dal fondo della stanza sento una risata roca e profonda.
Trasalisco e con lo sguardo cerco di intercettare il proprietario di quella risata inquietante.
Finché lo vedo: è in fondo alla camera al mio lato destro. È un uomo ed è seduto su una poltrona scura. Aguzzo la vista e cerco di analizzarlo meglio, anche se da lontano mi riesce molto difficile, non indossando i miei occhiali da vista.

«Noto con piacere che la Bella addormentata si è destata dal suo sonno» annuncia lui con la sua voce profonda e bassa. Intensi brividi pervadono il mio corpo privo di vestiti.
Fisso il suo volto con disprezzo e seppur non riesco a inquadrarlo appieno, lo riconosco.
«De Rossi» sputo il suo cognome con una smorfia di disgusto.

È lui, l’uomo della discoteca.
Ieri sera non l’ho riconosciuto perché troppo ubriaca.
Si alza lentamente dalla poltrona e con l'eleganza di una pantera si avvicina al letto.
Più è vicino e più riesco a definire meglio i suoi lineamenti.

«Isabelle LaCroix» pronuncia il mio nome come se stesse assaporando il nettare degli Dèi.

Non è la prima volta, appunto, che ho il dispiacere di vederlo di presenza e l'effetto che, ancora una volta mi fa, è a dir poco devastante.

«Finalmente ti ho tra le mie mani» mi dice.
È così vicino a me da riuscire a sentire il suo profumo. Mi sovrasta con la sua enorme statura e, mio malgardo, mi ritrovo a pensare che quest'uomo riesce a intimorirmi pur restando completamente fermo.
I suoi occhi blu mi scrutano da capo a piedi e le sue labbra piene si piegano in un sorriso soddisfatto.

«Mio padre verrà a riprendermi» dico la prima cosa che mi passa per la testa, ma non sono molto convinta delle mie stesse parole, oltre al fatto che odio tremendamente fare affidamento sugli altri.
Io me la cavo da sola, senza l'aiuto di nessuno. Anche se so di sembrare poco credibile data la situazione in cui mi trovo.

«No, non verrà.»
Sembra così sicuro di sé, penso con una smorfia.
Non lo sopporto.

«E come fai a esserne così sicuro?» Gli lancio uno sguardo che ha lo scopo di fulminarlo all'istante, ma ciò non accade.
De Rossi si siede sul letto, il suo corpo sfiora la mia pelle e io istintivamente mi scosto di scatto.
Mastico un'imprecazione dal momento che mi rendo conto che i miei movimenti sono limitati dalle corde.

«Tuo padre non entrerà nella tana del lupo» sussurra a un soffio dalle mie labbra.

Potrei dargli una testata e fratturargli il naso. Già me lo immagino con il sangue che gli sporca quei lineamenti perfetti.

«Che vuoi da me, lurido bastardo?» gli domando a denti stretti, mentre cerco di non mettere in pratica i miei pensieri omicidi. Almeno per il momento.

«Non ti permetto di usare quel tono con me» mi rimprovera assottigliando gli occhi, «quindi apri bene le orecchie: devi rivolgerti a me con il massimo del rispetto. Io non sono tuo padre né tanto meno quel coglione del tuo ragazzo. Sono stato chiaro?»
È serio ora, la punta di divertimento che aleggiava nei suoi occhi è completamente sparita.
Mi sento mancare, De Rossi è troppo vicino e sembra prosciugare tutta l'aria dentro questa dannata stanza.

Esattamente come stanotte la sua vicinanza mi rende le gambe molli. Ripenso al momento esatto in cui mi sono ritrovata il suo corpo vicino al mio sulla pista da ballo, non so chi dei due ha fatto il primo passo. O forse lo so e preferisco non pensarci. Quando sono alticcia faccio cose stupide.

Scuoto la testa e ritorno al presente.
«Io devo trattarti con il massimo del rispetto? Ma sentilo. Sono legata come un salame a questo letto, nuda come un fottuto verme e io dovrei portarti rispetto? Non ti porto un cazzo di niente se non mi dici cosa diavolo ci faccio qui!» sbotto carica di una rabbia che non ho mai provato in vita mia. Le persone come lui mi mandano in bestia.

Il bastardo scoppia a ridere.
La sua risata sinistra mi riempie le orecchie e mi fa venire voglia di tirargli un pugno.

«Sei tosta, Belle. Ero stata informato del tuo pessimo carattere, ma volevo testarlo di persona.»

«Senti mettiamo in chiaro due o tre cosette» inizio io sfidandolo con lo sguardo, «primo: non ti permetto di chiamarmi Belle, ok? Non ci conosciamo, non siamo amici e mai lo diventeremo, quindi per te sono Isabelle.
Secondo: se non ti allontani subito da me, ti cambio i connotati con una testata e terzo: liberami da queste fottute corde e forse non tenterò di mettere in atto il secondo punto.»

Lui crede di essere il padrone del mondo, crede di potermi piegare con stupide e insignificanti minacce.
Ma non ha ancora capito con chi ha a che fare.
Isabelle LaCroix non si piega di fronte a nessuno. Mai.

«Che paura, Belle. Tremo tutto. Non vuoi più sapere perché ti trovi qui?» mi chiede, dal suo tono e dal suo sguardo freddo non trapela nessuna emozione.
Resta fermo di fronte a me, come se non fossi capace di mettere in pratica quello che gli ho appena detto.
Mi sottovaluta.

«Immagino già il motivo per cui mi trovo qui.»

Non ricordo granché di stanotte, ma sono quasi sicura di averlo baciato, probabilmente questo lo ha fatto sentire in diritto di portarmi a casa sua e di legarmi al suo letto.
Faccio una smorfia.
Lui sorride.

«Non credo.»

«Oh, sì invece. Sei uno di quelli che pratica bondage o cose del genere per caso? Perché non trovo altri motivi per cui dovrei essere legata al tuo letto con delle corde.»

«Hai una fervida immaginazione.»

«Ah, e tanto per la cronaca, non mi pare di averti dato il permesso di farlo e se, mettiamo il caso, io lo avesso fatto ero totalmente ubriaca, ciò significa che ti sei approfittato di me in un momento di debolezza. Una cosa davero squallida che…»

«Cazzo, Belle, parli davvero troppo» ringhia afferrandomi saldamente per la nuca e spingendo le sue labbra carnose sulle mie.
Troppo volece, non riesco a fermarlo.
Un senso di rabbia mi pervade sapendo di non potermi difendere.

Sento la sua lingua calda farsi strada dentro la mia bocca e una sensazione di calore, del tutto indesiderato, mi pervade il corpo.
Non lo assecondo, ma neppure faccio nulla per fermarlo.
Un bacio, un solo bacio e il mio corpo intorpidito sembra risvegliarsi da un lungo sonno. Il sangue pulsa veloce nelle mie vene e si cononcentra in un punto ben preciso del mio corpo.

Quando si stacca da me il bastardo, dai capelli neri come una notte senza stelle, mi fissa con soddisfazione e con una punta di sfida negli occhi, si lecca le labbra per poi distenderle in un mezzo sorriso.

«No, non sei a casa mia perché voglio fare qualche giochetto strano con te, ma perché ti ho rapita e per questo, mia cara, devi ringraziare tuo padre e gli amici che frequenta.»

I miei occhi si spalancano, non posso credere alle mie orecchie. Questo delinquente mi ha appena messa al corrente di avermi rapita come se fosse la cosa più normale di questo modo.
Serro le labbra.
Il suo viso è così vicino al mio.
E io lo faccio, non ci penso oltre.
Gli tiro una testata che avrebbe potuto tramortire un rinoceronte.
I suoi occhi si chiudono per un solo istante, il tempo di assorbire il colpo inaspettato.
Un rivolo di sangue esce dal naso. Sono sicura che stia soffrendo, ma non lo da a vedere.
Neache un piccolo mugolio di dolore esce dalle sue labbra serrate.
Deglutisco.
Riapre gli occhi e io sono convinta di poterci vedere l'inferno dentro.
Deglutisco ancora.
Il sangue adesso esce più copioso e raggiunge le labbra, scivola sul mento, sul collo e si ferma sul colletto della camicia bianca immacolata.
I miei occhi ne seguono il percorso e poi ritornano a posarsi nei suoi, glaciali.

«Hai fatto l'errore più grave della tua vita.»

Poche parole, pronunciate con una freddezza sconcertante.
Sento la testa pulsare selvaggiamente, mentre un senso di terrore puro mi attanaglia le viscere.

Forse non avrei dovuto.

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora