47. Insieme

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«Finalmente ci incontriamo, De Rossi.» Il tono di Spencer è piatto. Indecifrabile. Irrita le mie orecchie. Mette a dura prova il mio autocontrollo. Ma non posso fare cazzate. L'ho promesso a me stesso. L'ho promesso a Isabelle.

«So che cerchi di incontrarmi da diverso tempo.» Allarga le braccia. «Eccomi qui.» La sua espressione di superiorità infastidisce i miei occhi. Le mani prudono per l'intensa voglia di cavargli l'occhio buono. La soddisfazione sarebbe grande, è vero. Ma effimera.

«So che sei un uomo molto impegnato, ma avresti potuto accettare prima un'umile udienza da parte di un tuo vecchio amico.» L'ironia che permea la mia voce copre l'immane disgusto che provo per la sua sporca persona. Lui sorride, ignaro. Un sorriso plastico, privo di qualsivoglia emozione. Da un uomo vuoto, spoglio di sentimenti non posso aspettarmi qualcosa di diverso.

«Vecchio amico?» mi chiede nel suo solito tono piatto. Scuote il capo. «Non mi pare che io e te ci siamo mai incontrati di persona. Ho sentito molto parlare di te. Questo sì. Ma mi ricorderei di te se ci fossimo già incontrati di presenza.»

Oh, ci siamo già incontrati, figlio di puttana. Come fai a non ricordarti di me? Eppure sono sicuro che abbia in qualche modo segnato la tua sporca vita. Meno profondamente della mia, chiaramente. In maniera fisica più che sentimentale. Forse dovrei delucidare la sua memoria.
Un'altra volta, però.
Questo non è il momento adatto.
Faccio un sorriso sghembo.

«C'è sempre tempo per diventare... amici.» Alzo le spalle. «Abbiamo molte cose in comune io e te.»
Non è minimamente immaginabile quando pronunciare queste parole mi risulti difficile. Rinchiuso dentro le quattro mura del mio studio sembrava tutto dannatamente più facile. Ma all'atto pratico ogni singola sillaba pesa come un macigno.

«Non ho dubbi al riguardo. Di fatto ho subito accettato l'invito di LaCroix. Sono qui appositamente per conoscerti. Devlin De Rossi.»

I nostri occhi si scrutano. Si soppesano cautamente. Discretamente. Ognuno dei due in questo momento sta tirando le sue somme.

«Ne sono onorato.» Mi sforzo di pronunciare.

Dio, lo so che spesso e volentieri mi dimentico della tua esistenza, ma se esisti davvero e se me hai voglia, aiutami  a portare avanti questa farsa. Infondimi quel po' di saggezza che mia madre e il mio sconosciuto padre  non sono stati in grado di darmi.

«LaCroix mi ha invitato a cena a casa sua domani sera. Immagino ci sarai anche tu.»

«Certo.» rispondo di getto. Mi sono appena auto invitato, aggiungerei. Pentendomene subito dopo. Non voglio che i suoi occhi libidinosi si posino ancora su Isabelle. Non voglio che stia nella sua stessa stanza. Lei ha paura di lui. Non la obbligherò a sopportare la sua presenza.

Che cosa le hai fatto bastardo?
Non avrò pace finché non lo scoprirò.

«Bene, a domani sera allora.» Mi dice ignaro dei miei pensieri omicidi.

°•°•°•°

«Tutto bene?» Isabelle accarezza il mio braccio. Il suo tono è preoccupato. D'altronde da quando siamo saliti in macchina non abbiamo scambiato neanche mezza parola. La guardo per un solo istante nella penombra dell'abitacolo, scorgo il suo sorriso incerto. Poi riporto gli occhi sulla strada che porta alla villa, quasi del tutto deserta a quest'ora della notte.

«Sì.»

«Sicuro? Non devi dirlo solo per farmi piacere.»

Annuisco. «Sto fottutamente bene.»
Sono poco credibile. Ne sono consapevole.

«Beh, ti capirei se fosse il contrario. Stasera hai fatto un incontro importante. Immagino ti abbia scosso parecchio, dico bene?»

«Perché non sei tornata a casa tua? Eri libera di farlo. Avevamo deciso così.» Cambio argomento. Schivo la sua domanda scomoda per porne una ancora più pruriginosa. Ma tutto è meglio fuorché parlare di Spencer. Lei sembra pensarci su per qualche secondo.

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora