68. Orfanotrofio di Saint Clare

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Il fascicolo di mio padre non dice nulla di molto diverso da quello di Spencer. Qualcosa di più approfondito sulla sua famiglia, su mia madre, mia sorella e me. Sa tutto di noi, chissà da quanto tempo ci fa spiare. Non me la sento di avercela con lui per questo, in fondo è stato lui stesso a confessarmelo. Ciò che c'è in questi due fascicoli non sazia la mia sete di sapere. Voglio scoprire di più, perciò rovisto tra gli ultimi fogli del cassetto. Sotto di essi trovo un altro sottile fascicolo, più vecchio e ingiallito degli altri. Intenzionata a scoprire ogni cosa su mio padre lo apro. C'è un foglietto ripiegato su se stesso, rovinato dal tempo, dalle pieghe annerite. Sotto di esso una foto vecchia di almeno vent'anni. La prendo e la osservo più da vicino. Là per là ci metto qualche secondo prima di fare mente locale, scossa come sono non mi rendo subito conto che ciò che ho tra le mani niente ha a che fare con il mio genitore.

Nella foto vi sono immortalati una quindicina di bambini di età compresa tra i tre e i dieci anni,  dietro di loro fa da sfondo una lunga e larga rampa di scale. Sono disposti in due file, dieci dietro e cinque, i più piccoli, davanti a loro. Tre di questi bambini hanno i volti cerchiati con un pennarello rosso. Osservo i loro visi fanciulleschi. Il primo sta nella fila dietro, essendo uno dei più alti, lo riconosco immediatamente. «Devlin» mormoro sfiorando con la punta dell'indice il suo volto. Non avrà avuto più di nove o dieci anni, vestito con un maglioncino a righe colorate un po' troppo stretto e corto anche per il suo fisico magro, quasi emaciato. I capelli neri spettinati gli ricadono sugli occhi che spiccano come zaffiri sul volto pallido. Non sorride come gli altri bambini, sembra assente quasi seccato. Mi si stringe il cuore nel vederlo così. Tiene le mani su un bambino davanti a lui, protettivo come un fratello maggiore. È proprio l'altro bambino con il viso cerchiato, che a sua volta tiene per mano una bimba di fianco a se. Lui a differenza di Devlin sorride allegro. È palesemente più piccolo, avrà quattro anni o forse qualcosa in più, due grandi occhi castani e una zazzera di capelli ondulati  scendono fin sotto il collo. Mi acciglio, mentre lo osservo attentamente. Questo bimbetto dai vestiti troppo grandi e comsumati ha per me un'aria familiare. Mi chiedo perchè visto che è al quanto improbabile che io lo conosca. Mi concentro sull'ultimo visino cerchiato di rosso. Si tratta di una bambina più o meno di sette anni, è minuta quasi quanto il piccoletto che la tiene per mano. Effettivamente i loro volti sembrano assomigliarsi un poco. Sarà che hanno lo stesso colore di capelli e la stessa boccuccia a cuore. Gli occhi di lei, però, sono di un verde scuro. Anche lei ha un che di familiare, gli altri bambini invece non mi dicono nulla. Giro distrattamente la foto, di solito ci si appunta sempre qualcosa dietro. Di fatto trovo una lunga fila di nomi, tutti scritti a penna, in corsivo e con una calligrafia ordinata. Io però mi focalizzo solo sui tre evidenziati con lo stesso pennarello rosso: «“Io” a nove anni» leggo ad alta voce, immagino che sia stato Devlin a scrivere questi appunti. Mi sento infastidita da alcuni pensieri che si sovrappongono l'uno con l'altro. La scrittura di Devlin mi fa pensare fugacemente a un particolare che al momento, però, sfugge alla mia mente troppo provata. Scaccio via ogni qualsivoglia pensiero strano e mi concentro sugli altri due nomi. «Non è possibile» scuoto il capo e rileggo il nome ancora una volta. Stavolta lo dico ad alta voce così facendo sono sicura di non sbagliarmi. «Matias, a quattro anni.» La mia voce sembra risuonare come un'eco lontana alle mie orecchie. Non posso credere ai miei occhi. Mi porto una mano alle labbra, mentre il respiro quasi si blocca nei polmoni. «Matias» ripeto quasi ipnotizzata dal nome scritto su questa foto. Cerco di convincermi che ci sono una miriade di Matias nel mondo, nel Nevada, ovunque. Non deve essere per forza quel Matias, no? Più cerco di convincermi e più le mie ipotesi si indeboliscono. La differenza di età tra lui e Devlin combacia. Il fatto che entrambi abbiamo vissuto la loro infanzia in un orfanotrofio combacia. La strana reazione di Devlin quando gli ho parlato di Matias, combacia. C'era qualcosa nei suoi occhi e nella sua reazione, qualcosa che mi aveva dato l'impressione che i due si conoscessero. Ieri non ci ho dato molto peso, ma adesso tutto pare combaciare quasi alla perfezione. Devlin e Matias hanno vissuto nello stesso orfanotrofio, poi le loro strade si sono separate. Come ho fatto a non collegare il particolare dell'orfanotrofio prima? Eppure era così evidente... Perchè non me lo ha detto ieri? Perchè me lo sta tenendo nascosto? A questo punto, per completare il cerchio non mi resta che leggere l'ultimo nome, quello della bimba, il fatto che tenga la mano di Matias mi fa provare un altro brutto presentimento. «Valentina, a sette anni. Valentina? Non è possibile questo è un incubo. Un fottuto incubo da cui non mi sveglierò mai!» Sbatto la mano sulla scrivania, il tonfo rimbomba nel silenzio quasi innaturale della stanza. Se Matias è lo stesso che penso io, Valentina chi è? La stessa Valentina che conosco io? Valentina De Rossi? Che diamine ci fa una De Rossi in quell'orfanotrofio? Perche è così simile a Matias? Troppe domande affollano la mia mente e troppe poche risposte ho da dare, solo tante ipotesi non del tutto sconnesse tra di loro, ma pur sempre ipotesi. Sono certa che sia lei, altrimenti perché Devlin avrebbe cerchiato il suo viso? Forse anche lei è stata adottata dai De Rossi... ma allora perché nessuno ne sa nulla? Tutti sanno che Devlin è stato adottato, ma Valentina per tutti è figlia effettiva dei De Rossi. Perchè dire di uno e dell'altra no? Però avrebbe senso se quella bimba fosse lei, spiegherebbe in parte il suo attaccamento morboso nei confronti di Devlin. Quell'amore verso di lui potrebbe derivare da un evento del passato, magari avvenuto proprio in orfanotrofio. Sono così confusa che sento la testa scoppiare come un pallone. Non sono più disposta ad aspettare che sia lui a dirmi qualcosa in più del suo passato, ora piu che mai mi sento in diritto di avere delle risposte concrete. E forse so dove trovarle. «Orfanotrofio di Saint Clare, 1998» leggo in basso a destra nella foto. Tengo a mente questo nome, intanto che prendo il piccolo foglietto che c'era sopra la foto, lo apro e scopro che è un disegno fatto da manine infantili. Sono tre bambini che formano una specie di girotondo, sopra le loro teste una frase: Tina, Dev e Mati per sempre insieme. Poi tanti piccoli cuoricini rossi sparsi per tutto il foglio. Chiudo per un attimo gli occhi e prendo un respiro profondo, mentre calde lacrime bagnano il mio viso. Una rabbia profonda esplode dentro di me e vede Devlin come protagonista. Mi ritornano in mente le parole di sua madre: “sei un terremoto, dove arrivi tu trema la terra.” niente di più vero, poiché come un terremoto è in grado di distruggere tutto ciò che lo circonda. È in grado di sbriciolare la terra sotto ai miei piedi e farmi crollare nell'abisso più profondo e desolato. Fatto di paure, di incertezze e di torbide bugie.

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