25. A quale prezzo?

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Devlin

«Buonanotte Isabelle.»
Ignoro le sue parole, poichè non ho nessuna intenzione di intavalore una conversazione con lei in questo momento. No, è ancora troppo presto. Devo lasciarla cuocere ancora un po' nel suo brodo. Nei suoi sbagli e nelle sue stupide parole avventate.
Sono già pronto per varcare la soglia, una mano sulla maniglia e un piede già fuori casa.

«Buonanotte un cazzo.» La sento biascicare infastidita dal mio atteggiamento.
Sento uno dei suoi tacchi risuonare nel silenzio dell'atrio.

Mi blocco e mi volto verso di lei. Inclino la testa leggermente mentre la osservo.

«Prego?» Aggrotto le sopracciglia fingendo di non aver capito.
La sua bella bocca atteggiata in un broncio, mi ricorda tanto quella di una bambina che fa i capricci. I suoi occhi sono lucidi, socchiusi; velati a causa dell'alcool che ha sorbito nemmeno fosse stato acqua.

«Hai capito benissimo. Io e te dobbiamo parlare» mi dice risoluta incrociando le braccia al petto.
Scuoto il capo.

«Quando sarai sobria, forse.»

Detto ciò mi giro e faccio per uscire di casa. Dal martellare veloce dei suoi tacchi sul pavimento capisco che si sta avvicinando a me. Infatti mi sento tirare con forza dalla giacca. Non riesce a spostarmi neppure di un millimetro, ma se non la fermo all'istante sarebbe capace di strapparmela di dosso. Ritorno a guardarla. I suoi occhi sono furenti e brillano come due tizzoni ardenti. Mi fronteggia raddrizzando la schiena, ma nonostante i tacchi alti e la postura dritta riesco a sovrastare la sua ridicola altezza di almeno quindici centimetri.

«Come ti permetti razza di maleducato. Io sono più che sobria!» sbraita lei assottigliando gli occhi. Forse crede di avere un aspetto minaccioso, secondo me assomiglia più a una gnometta.
Se non fossi così incazzato con lei mi scapperebbe anche da ridere.

«Andiamo ragazzina, si vede lontano un miglio che non sei abituata a bere.»

«Ma che cosa ne sai tu di quello che sono o non sono abituata a fare, uhm?» chiede alzando la voce e continuando a strattonare la mia giacca. Blocco il suo polso e allontano la sua mano da essa, portandola dietro la sua schiena, che diventa ancora più ritta non appena mi chino per tenerla ferma.

«Lasciami» borbotta chiaramente a disagio per via della mia vicinanza.
Il suo respiro caldo mi solletica le labbra e, per un attimo, mi sento stordito e ammaliato dall'averla così vicina dopo un'intera settimana di lontananza.
Mi accorgo in maniera quasi violenta di quanto il suo profumo di cocco, il suo sguardo dorato, il suo corpo caldo mi siano mancati.
Ho cercato di eliminarla dalla mia testa sfogandomi con Emilia ogni fottuto giorno.
Pare che non sia servito a un cazzo, mi rendo conto con una cocente umiliazione che porta il mio cuore a battere ferocemente.
Un moto di fastidio pervade le mie membra. Assotiglio le labbra in una linea retta e serro le dita sul suo polso delicato.

«Ascoltami attentamente, Isabelle» la mia voce esce più dura di quanto in realtà volessi, «ora tu sali in camera tua, ti metti a letto e ti fai una bella dormita. Sono stato chiaro?»

Un brivido animalesco mi pizzica la schiena e si concentra su parti che in questo momento preferirei ignorare. Al solo pensiero di lei stesa in un letto, nuda, calda e palpitante... mi si rizzano persino i capelli dietro la nuca. Stringo le labbra e mi impongo di scacciare via quell'immagine tanto sensuale quanto inopportuna.
Non merita le mie attenzioni.
Le mie carezze.
I miei pensieri.

«No, no, no ascoltami tu De Rossi» ribatte lei puntando l'indice contro il mio petto. Proprio lì, dove il cuore scalpita incontrollato contro la cassa toracica. «Sono stanca di starmene in camera come una reclusa, solo per non vedere la tua faccia da schiaffi.»

Aggrotto le sopracciglia.

«Sei tu che ti sei barricata in...»

«Zitto!»
La sua manina si schiaffa contro la mia bocca, premendomela contro.
Lei che dice zitto a me? Per di più con un gesto tanto infantile e fastidioso da farmi eccitare, nemmeno mi avesse spiattellato le sue grazie dritte in faccia.

«Ho capito che non si può più rimandare l'inevitabile.»

Le sue parole ammutoliscono i miei pensieri, per fortuna.

«Solo questo sei riuscita a capire in questa settimana?» le chiedo beffardo.

«Ho capito diverse cose, della quale non intendo metterti al corrente. Perché sono certa che saresti capace di usarle contro di me.» L'ultima parte della frase la dice quasi sussurando. I suoi bellissimi occhi si adombrano. Capisco all'istante a cosa si sta riferendo. Un sorriso amaro si forma sulle mie labbra.

«Come tu saresti capace di mentire spudoratamente pur di uscirne come una martire» dico tra i denti.
Perché, dannazione a lei, le sue maledette parole bruciano come una ferita infetta.
Lei stringe le labbra e dalla sua espressione colpevole capisco di aver centrato il bersaglio.

«Chi ti dice che io abbia mentito? Forse sono davvero una brava attrice» mormora spezzando il contatto visivo e seguendo con lo sguardo il dito con la quale sta tracciando distrattamente i bordi del colletto della mia giacca.
Le sue dita non toccano il mio corpo in modo diretto, ma è come se lo facessero dato che sento la pelle formicolare nei punti in cui il suo indice si muove. Deglutisco con la gola improvvisamente secca.

«Il tuo corpo lo dice, Isabelle. Certe sensazioni o... emozioni non potresti controllarle neppure se volessi. E tu avresti tanto voluto controllarle, ma per l'appunto non sei riuscita a farlo.»
Il timbro della mia voce è roco e carico di una tensione sessuale che non riesco a controllare.

Sono infuriato con lei, però, non posso impedire al mio corpo di eccitarsi.
È troppo vicina.
Troppo bella.
Troppo tentatrice.

La vedo mordersi un labbro, penseriosa.

«Allora perché hai detto quelle cose a Mike? Per ripicca?» mi chiede con un filo di voce continuando a non guardarmi.

Allora la mia mente viaggia fino a ritornare a quella sera al ristorante. Sapevo che Mike sarebbe stato lì , aveva una cena con i suoi colleghi. Sapevo anche che sarebbe stato rischioso farli incontrare, ma prima o poi sarebbe dovuto accadere.
Anche la scelta del tavolo vicino al loro non è stata casuale. Spio e faccio seguire tutti i LaCroix da così tanto tempo che ormai ho imparato a conoscere e prevedere ogni loro fottuta mossa. Quindi avevo calcolato la probabilità che Michael sarebbe potuto uscire fuori appena ci avesse visti e che lei lo avrebbe senza dubbio rincorso, ma non avrei mai immaginato che dalle labbra di Isabelle potessero uscire quelle parole disgustose. Dalle stesse labbra che fino a poche ore prima avevano baciato le mie, che  avevano urlato il mio nome mentre veniva e che   mi avevano chiesto di scoparla come solo io so fare.
La rabbia, e qualcosa di più profondo e indecifrabile, mi aveva accecato e volevo ripagarla con la stessa moneta. Volevo farle male, farla soffrire, ferirla nel modo più crudele.
Ho visto i suoi occhi riempirsi di lacrime e il suo corpo tremare. Una sadica vendetta che mi ha reso vincitore e che ha avuto il potere di risanare, in parte, il mio orgoglio. Ma che non è riuscita ad alleviare il pungente fastidio proprio all'altezza del petto.
Per un attimo, solo per un traditore istante, mi sono sentito un mostro nell'averla umiliata come neppure la peggiore delle puttane meriterebbe.
Mi sono sentito una persona orribile e meschina nel sentirla singhiozzare in auto. Lei cercava di nascondere il pianto, io mi fingevo sordo.
L'unica cosa che mi sforzavo di pensare era quella di essere riuscito nel mio intento.

, adesso rifletto, sono riuscito nel mio intento, ma a quale prezzo?

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora