70. Saint Claire

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Esco dal casinò e raggiungo l'auto, intanto mi chiedo dove stia andando Isabelle con la mia macchina. Non mo disturba il fatto che sia uscita senza dirmelo, lei può andare dove le pare, non è di certo reclusa, mi fa strano solo che non mi abbia avvisato. Capisco che si senta delusa dal mio atteggiamento di ieri notte, ma questo modo di agire non ha granché senso. Ha mentito ad Harper, dicendogli che io sapevo che stava uscendo. Perché mentirgli, quando obiettivamente non c'è nulla di male nell'andare a fare shopping? Non vorrei dubitare di lei, ma è più forte di me. Non lo so, è come se sentissi che c'è qualcosa che non va , qualcosa di sbagliato nel suo comportamento. Entro in macchina, ma non metto in moto, resto con il cellulare in mano indeciso sul da farsi. Da un lato vorrei chiamarla per sapere dov'è, dall'altro non vorrei che prendesse ciò come una mancanza di fiducia.

Mi passo una mano sulla fronte e faccio schioccare la lingua sul palato. Un'altra cosa che non mi dà pace è il fatto che tra tutte le auto presenti nel garage abbia scelto proprio l'unica a cui tengo veramente. L'ultimo regalo di mio padre Vittorio. L'ultima volta che sono salito sulla Lamborghini ero insieme a lui. Fu per il giorno del mio compleanno, il ventuno novembre di due anni fa. Il ventidue di novembre, il giorno seguente, fu stroncato da un infarto. Per questo ho un legame così forte con quell'auto, essendo il legame più recente con mio padre. È un po' come se potessi ancora sentire la sua presenza dentro l'abitacolo di quella macchina. Ed ora si è spezzato inevitabilmente. Sapere che ciò è avvenuto solo per dello stupido shopping mi infastidisce dannatamente. Sbuffo e decido di chiamarla. Mentre compongo il numero penso che se forse gliene avessi parlato, lei non l'avrebbe mai presa, in fondo per buona parte è anche colpa mia.

Mi acciglio constatando che non risponde, deve aver spento il cellulare. Riprovo per sicurezza un'altra volta, ma nulla nessuna risposta. Perché mai avrebbe dovuto spegnere il cellulare? La sensazione che si sia in qualche modo cacciata nei guai si fa più concreta e intensa. Mi mordicchio il pollice, nervosamente. Se fosse successo qualcosa? Se avesse bisogno d'aiuto? Magari si è sentita male e ha preferito non farmelo sapere. Il fastidio iniziale lascia spazio alla preoccupazione per lei e per il bambino. Richiamo più volte con la speranza che abbia riacceso il cellulare. Forse sto diventando apprensivo al limite del paranoico, ma con una situazione come la nostra la prudenza non è mai troppa. Suo padre e Spencer sarebbero capaci di fare di tutto. Potrebbero averla ingannata in qualche modo, magari con la scusa di sua sorella, potrebbe questo implicare il motivo per cui è uscita di fretta e per aver mentito. Forse sono troppo paranoico, fatto sta che prendo una decisione drastica, curandomi poco delle future conseguenze delle mie azioni.

Isabelle

«Matias, il mio Matias era nello stesso orfanotrofio di De Rossi?» Mia sorella è incredula.

Annuisco. «Credo fossero amici.»

«Matias non me ne ha mai parlato.»

«E perchè avrebbe dovuto? A noi non importava niente della rivalità tra le nostre famiglie, non abbiamo mai parlato dei De Rossi con Matias.»

«Già. Ma perchè me lo stai dicendo, Belle?»

La guardo per un istante. Non lo so bene neanche io, forse è un modo per prepararla al peggio.

«C'è altro che devo sapere?» chiede sospettosa, evidentemente la mia espressione parla più chiaro delle mie parole.

«C'è tanto altro che dovresti sapere, ma fidati se ti dico che questo non è né il luogo né il momento adatto.»

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora