48. Ora ci assomigliamo

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Esco dalla doccia. Grosse gocce d'acqua ricoprono tutto il mio corpo. Scivolano giù e bagnano il pavimento, lasciando una scia dalla doccia fino al tappeto sotto al lavandino. Poggio entrambe le mani su di esso. Stringo i bordi tra le dita e sospiro forte, chiudendo gli occhi. Respiro ed espiro lentamente. Finché non mi sento pronto per fissare il riflesso dei miei occhi allo specchio.
Alzo lentamente la testa e, sì, l'aspetto dell'uomo che vedo attraverso lo specchio non è cambiato. Sono sempre io. Stesso volto, stessi occhi. Tutto è invariato. Fuori sono sempre lo stesso.
Ma dentro?
Interrogo il mio stesso sguardo.

I ricci bagnati del ciuffo grondano gocce d'acqua sul mio viso, dal naso scendono sulle labbra e poi giù. S'imbattono sul lavandino, scandendo così i secondi che mi separano dalla risposta che urla dentro la mia testa, rimbombandomi nel cervello.

«Dentro» sussurro e faccio una breve risata.

«Che dannazione ti è successo? Razza di rammollito?» Mi pare di udire la voce severa di mio padre che proviene direttamente della fiamme dell'inferno. O forse è solo dentro la mia fottuta testa.
Mi sembra di vederlo attraverso lo specchio. Sempre impettito. Sempre elegante. Non alzava mai la voce. Bastava uno sguardo per fartela fare sotto. È lui che mi ha insegnato tutto quello che so. È da lui che ho imparato. Osservandolo. Facendo mio ogni suo consiglio.
Ma adesso... adesso fisso il me stesso dall'altro lato dello specchio e non lo riconosco. Lui a sua volta mi fissa con i suoi occhi lucidi, come se fosse un'altra persona. Comincio a credere, che in un certo senso, sia davvero così. Sento di non appartenere più a me stesso.

Prima era tutto più facile. La mia vita era suddivisa in schemi ben precisi. Una parola d'ordine: controllo.
Ora non è più così.
Io non sono più così.
Io non sono più io.

Non riesco a controllare un cazzo di niente. Le miei emozioni, per esempio. Mi comporto come un rammollito. Sono diventato debole. Mi sono lasciato andare a sentimenti irrazionali. Privi di logica. Insensati. Indesiderati.

Ma che in quel momento mi hanno fatto stare bene. Mi hanno fatto sentire meno solo.
Desiderato. E forse sì, anche amato in un certo senso.

Prima era tutto più semplice.
Prima di lei.

Di nuovo l'uomo allo specchio ride. Ride di me. Delle cazzate sentimentali che escono dalla mia stupida bocca delirante.
Poi si fa di colpo serio.
Troppo serio.

«Sei un coglione, De Rossi. Uno stupido coglione!» sbraito colpendo con un pugno il mio stesso riflesso.
Lo specchio si infrange in tante schegge brillanti, che feriscono la mia carne. Finiscono ovunque. Nel lavandino. Sul tappeto. Sul pavimento. Schegge che a loro volta si frantumano in pezzi più piccoli.
Talmente piccoli da diventare quasi del tutto invisibili.
Come i minuscoli pezzetti in cui si è infranto il mio cuore, quell' unica volta in cui mi sono fidato di una donna.

Il respiro accelera. Gli occhi diventano lucidi. Quanto tempo è che non piango come si deve? Stringo più forte il pugno con cui ho colpito lo specchio. Le schegge penetrano più a fondo la mia carne. Lacerano ulteriormente la mia pelle. Il sangue cola copioso per tutto l'avambraccio. Ce n'è ovunque. Sullo specchio, sul lavandino, ovunque. Si mescola con le schegge.
Ma non mi importa. No. Continuo a fissare il mio riflesso, ora distorto. Suddiviso in tante piccole e imperfette parti.
«Ora si che ci assomigliamo.»  Con la mano ferita accarezzo lo specchio ormai distrutto.

Sento in lontananza qualcuno che pronuncia il mio nome, ma non presto attenzione a nessun'altro che non sia l'altro me stesso.

La mano mi trema. Pulsa forte e brucia maledettamente. Ma è un dolore che non mi disturba. È un dolore che merito. Benaccetto.

«Devlin!»

La porta si apre con violenza.

«Devlin, oh mio Dio! Che cosa hai combinato?»

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora