22. Se solo tu volessi

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Una settimana. È passata una settimana dall'ultima volta che ho visto De Rossi. Precisamente da quando è successo il disastro del ristorante, penso mentre giro per la camera da letto, come un'anima in pena. Da quella sera mi sono chiusa in questa stanza e non ci siamo più rivolti la parola.
Lui non mi ha più parlata.
In realtà non l'ha più fatto da quando abbiamo messo piede in auto. Dentro l'abitacolo era calato un silenzio di tomba, nessuna parola, nessuna recriminazione. Niente di niente e io non ho avuto il coraggio di spezzare quella quiete innaturale che si era venuta a creare. Solo un tretro silenzio carico di parole non dette, ma ugualmente assordanti.
Potevo benissimo sentire la tensione saturare l'aria. La rabbia, nascosta dietro una calma solo apparente, irrigidirgli ogni singolo muscolo.
Non so cosa un uomo come lui possa aver provato dal momento in cui ha sentito le mie parole. I miei piani di cui parlavo a Mike, che in realtà non sono mai esistiti. Ma lui non lo sa, crede che io abbia finto per tutto questo tempo e chissà, forse è meglio così.

Però, perché questo non mi fa sentire meglio?

Stavolta ho combinato un guaio che non sarà facilmente perdonato. Sento di aver spezzato il precario equilibrio che si era creato tra di noi.
Anche lui ha esagerato, raccontando a Mike i nostri trascorsi sessuali in maniera volgare e cruda.
Una volgare e cruda verità.
Se fossi stato in lui probabilmente avrei agito nello stesso modo pur di mortificare la persona che si è presa gioco di me.
Non lo biasimo. Non riesco a odiarlo per ciò che ha detto.
È me che sto odiando in questo momento.

Mi lascio cadere sulla poltrona nera vicino alla finestra, quella su cui era seduto lui la prima volta che ci siamo incontrati. Mi prendo il volto tra le mani e scuoto la testa. Tutto. Tutto quanto mi riporta a lui; ogni banale gesto; ogni singola azione.

L'ho visto arrabbiato diverse volte, ma non ha mai agito in questo modo da quando sono qui.
Pensavo iniziasse a sbraitarmi contro, a insultarmi, a punirmi. Invece si è chiuso in un mutismo, che sembra assurdo, mi fa più male di qualsiasi altra cosa.
Mi punisce privandomi della sua presenza, della sua voce e a me non dovrebbe importare, invece, scopro che mi fa impazzire, mi corrode l'anima.

Vorrei uscire da questa maledetta camera, andarlo a cercare, afferarlo per il colletto e scuoterlo urlandogli contro di parlarmi.
Accetterei persino i suoi insulti pur di sentirlo parlare.
La verità è che non ho il coraggio di farlo.
Io mi sono chiusa in questa camera, perché fin ora non ho avuto la forza d'animo di affrontare la sua indifferenza.

L'unica cosa positiva di questa settimana in solitudine è che ho pensato molto, ho fatto finalmente i conti con me stessa, analizzandomi. E grazie a ciò sono arrivata a una conclusione: non è Devlin De Rossi il mio vero nemico. Il vero nemico di me stessa sono io.
Io che mento, non solo agli altri ma, principalmente a me stessa.
Io che per uscir pulita da questa storia sporco gli altri.
Io, Isabelle LaCroix, non sono poi così diversa o migliore di Devlin De Rossi.

°•°•°•°
Sono sdraiata sul letto, sopra le coperte, a fissare il soffitto bianco. Un leggero bussare alla porta della mia camera mi fa trasalire. Per un attimo sento il cuore arrivarmi in gola per poi accelerare i battiti. Subito, però, mi do della stupida. De Rossi non è così educato da bussare.

«Avanti» dico atona.

La porta si apre lentamente e una ragazza bionda, alta e slanciata fa il suo ingresso.
Sabrina.

«Ciao Isa, disturbo?» mi chiede quasi con timidezza, restando ferma all'entrata della camera. Io scuoto la testa e la invito a entrare.
Lei annuisce e fa un piccolo sorriso. Chiude la porta alle sue spalle, dopodiché si avvicina al letto e si siede accanto a me.

«Come stai?»

Mi tiro su e appoggio le spalle alla testiera del letto, prima di rispondere.

«Bene, grazie.» È chiaramente una bugia, ma non mi va di raccontarle gli affari miei.
«Tu?»

«Bene. Sai ieri è arrivata mia madre insieme a mio fratello Riccardo. Mi piacerebbe molto fartelo conoscere.»
Io le sorrido gentilmente.

«Non credo sia il caso.»

«Perché? Sei la fidanzata di mio fratello e come tale fai parte della famiglia, ora» mi fa presente con un sorriso sincero.

«Non sono sicura che sia una buona idea, davvero.»

Sono leggermente in imbarazzo di fronte alla sua insistenza.

«Oh, su via Isa, se è il parere di mio fratello che ti preoccupa allora ti dico già che è d'accordo.»

Io la guardo incredula.

«Hai parlato di me con tuo fratello?» Lei annuisce.

«Certo. Che tu ci crederai o no, sono molto felice che tu sia la fidanzata di mio fratello. Mi piaci, sei una ragazza sveglia e simpatica. Che importa se sei una LaCroix o una pinco pallino qualsiasi. Il cognome non fa una persona.»

Le sue parole sincere e benevole mi spiazzano, ciò che dice è la pura verità ed è la stessa cosa che penso anch'io.

«Sai, credo che tu abbia ragione e sì, mi piacerebbe molto conoscere Riccardo, se è vero che ti somiglia allora sono certa che andremo d'accordo.»

Lei ride.

«Sì, puoi starne certa. Stasera verremo a cena qui allora.»

Stasera? No, non sono pronta a incontrare De Rossi così presto.

«Ehm, ascolta Sabrina io stasera non...»

«Ti prego Isabelle» prorompe lei con aria supplicante, prendendo una mia mano tra le sue.
«Non sopporto più di vedere mio fratello con quella faccia perennemente inbronciata. Non dico che di solito sia il ritratto della felicità, ma quanto meno interagisce con le persone che lo circondano. È da una settimana più o meno che salta in aria appena cerchi di avere mezza conversazione con lui» mi racconta senza fermarsi per un secondo, neppure per riprendere fiato.

Vorrei farle presente che almeno con lei parla. È pur sempre qualcosa.

«È cosa c'entro io?» Le chiedo alzando le spalle, cerco di fare l'indifferente, ma a quanto pare non riesco nel mio intento.

«Oh, suvvia non fingere di cadere dal pero!»

Da una piccola spintarella alla mia spalla con la propria.

«Si vede lontano un miglio che avete litigato. E poi non te ne staresti chiusa dentro queste quattro mura per una settimana senza un motivo, no?»

Sospiro. Questa ragazza è furba come una volpe. Non le si può nascondere niente.

«Abbiamo avuto delle piccole divergenze.»

Piccole divergenze, Isabelle, sì.

«Tranquilla non voglio sapere i motivi. Sono cose vostre, private. L'unica cosa che voglio è vedervi in pace e affiatati, come quella mattina in salotto. Ho visto gli occhi di Devlin mentre ti guardava.» Si avvicina di più a me, facendosi di colpo seria.

«Se solo tu volessi, potresti renderlo finalmente felice, Isabelle.»

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora