50. Sono un caso perso

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«Sei sempre il solito. Niente sesso abbiamo stabilito» dico seria, sfidandolo a controbattere.

Lui fa un mezzo sogghigno. «Tu lo hai deciso, non io, Isabelle. E poi ti ho chiesto solo un bacio decente, non un pompino.»

Scuoto la testa e lo guardo in cagnesco. «Che faccia tosta che hai, mio caro.»

«Beh, neanche la tua scherza.»

«Stupido.» Gli do un colpetto leggero sul braccio. «Dovresti avvisare subito Sabrina, prima che i tagli si infettino.» Cambio discorso. 

Lui sbuffa. «Cazzo, perchè sei così apprensiva? Neanche fossi tuo figlio.»

«Perchè mi preoccupo per te. Stupido orgoglioso. Come fai a non capirlo? Di solito la gente lo apprezza.

«Non io» mormora appoggiando la schiena alle piastrelle della doccia.

«Già. Non tu.» Mi ero illusa fin troppo.

«Ma pensavo ci stessi provando» dico dopo un momento in cui restiamo silenziosi e pensierosi entrambi.

Lui fa un profondo sospiro prima di iniziare a parlare. Si lascia scivolare giù fino a sedersi sul piatto doccia. «Lo pensavo anch'io.» Scuote la testa. «Ma mi sono reso conto che non ci riesco. Non riesco a lasciarti entrare nella mia vita, nella mia testa. Non riesco ad aprirmi con te. Non per un motivo in particolare, semplicemente non sono in grado di farlo. Non è colpa tua, ma mia. È solo mia la stramaledetta colpa. 

Mi lascio cadere anch'io, come un automa mi siedo e porto le ginocchia al petto. Volta il capo verso di me. «Non meriti di soffrire a causa mia.» Non so se è sincero. i suoi occhi sono lucidi. A primo impatto potrebbe dare l' impressione di essere vulnerabile in questo momento, ma non mi fido del tutto. 

«E' troppo tardi non credi? Comunque ho provato ad aiutarti, ma a quanto pare...»

«Sono un caso perso.»

«No, a quanto pare tu non vuoi aiutare te stesso» detto ciò mi alzo ed esco dalla doccia. «Ed io posso fare ben poco.»

«Mi dispiace, Isabelle. L' altra sera, in auto, sono stato sincero. Pensavo davvero di riuscirci. che quella fosse la cosa giusta da fare.»

«Tranquillo. Però almeno io posso dire di averci provato. Ma tu?» Lo fisso per qualche secondo. sono vicino alla porta, pronta a uscire, mentre lui è ancora seduto. «Tu puoi dire lo stesso?»

Si passa una mano sulla guancia e sul mento, lo fa lentamente, un gesto ripetuto, come un tic nervoso.  

«No. Non lo so. Più ci provo più sento che mi allontano da me stesso. Non mi riconosco più, Isabelle!»

Fa segno verso lo specchio distrutto e io finalmente capisco il perchè di quel gesto violento. All'improvviso tutto si fa chiaro nella mia mente. La nebbia si dissolve e lascia spazio a una limpida e crudele visuale della realtà. Ha distrutto lo specchio per colpa mia. Perchè è a causa mia non si riconosce più. 

«E questa cosa, odio ammetterlo, ma mi spaventa.»

«Certo.» Faccio un sorriso spento, tutt'altro che felice. «Ma anzichè affrontare la situazione cosa fai? Ti tiri indietro. Ritorni al punto di partenza come un bravo codardo. Distruggi tutto quello che ti circonda, che sia materiale o sentimentale, perchè questo ti fa stare bene. Ti fa sentire te stesso.» Non voglio provocare una reazione in lui. Dico solo ciò che penso. Anzi posso dire di essere stanca di provare ad aiutarlo. La verità è che non provo neanche più dolore nel sentire le sue parole. Ne rabbia. Niente di niente. Mi sento svuotata da ogni emozione e ciò, riconosco, che non è necessariamente un male. 

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora