67. Una vita fatta di menzogne

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Isabelle

Apro gli occhi e ancora assonnata mi stiracchio pigramente arrotolandomi come un involtino tra le lenzuola lisce e fresche, lasciandomi andare a uno sbadiglio davvero poco signorile. La camera è ancora avvolta nel buio più totale grazie alle spesse tende nere che ricoprono la parete di vetro. Il mio corpo si sconta contro quello caldo e grande di Devlin, che mi accarezza una guancia in punta di dita.

«È ancora presto per alzarti» mi sussurra all'orecchio. La sua voce profonda manda in estasi il mio corpo mezzo addormentato.

«Tu che ci fai già sveglio?» domando girandomi verso di lui.

«Ho delle cose da sbrigare al Casino.»

Mi prendo qualche secondo per osservarlo. Due profonde occhiaie scure solcano il suo viso altrimenti perfetto. Sono sicura non abbia chiuso occhio per tutta la notte. «Qualcosa non va?»

Lui mi sorride e mi da un bacio a stampo sulle labbra. «È tutto okay, principessa. Ho solo degli affari noiosi di cui occuparmi. Tu riposati ancora un po' io torno presto.»

«Devlin, sai che puoi dirmi tutto, no? Capisco subito quando c'è qualcosa che non va, dovresti saperlo ormai.» Mi metto a sedere sul letto, lui sorride e prendendomi gentilmente per un braccio mi attira a sè.

«Sto bene, davvero. Ho dormito poco e sono un po' rincoglionito. Nulla che non si possa risolvere con una buona dose di caffè» ridacchia.

Io invece sono un poco preoccupata, perchè ieri sera mi ha fatto capire delle cose e non vorrei se ne fosse pentito. Sto per rispondergli, ma ovviamente, la nausea sopraggiunge sempre nei momenti meno opportuni. Faccio una smorfia.

«Belle, stai male?» mi chiede accigliato. Io alzo un dito, come per dirgli aspetta un attimo. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Niente da fare, ciò non fa altro che aumentare il bisogno di vomitare. Allora corro in bagno trascinandomi le lenzuola per tutto il tragitto. Riesco a malapena a chiudere la porta alle mie spalle con un calcio prima di accucciarmi al wc. Spero non gli venga in mente la brillante idea di entrare ad aiutarmi.

«Vuoi... una mano?»

Come non detto. Mimo un no con l'indice e in qualche modo cerco di fargli capire che deve eclissarsi dal bagno, ma non capisce tramite i mie gesti goffi o forse finge di non capire.

«Andiamo dolcezza, credi che mi scandalizzi per un po' di vomito. Da ubriaco ho fatto di peggio.»

«Che consolazione» dico ironica tirando lo sciacquone. Lui fa una risatina davvero poco virile, a mio modesto parere.

«Ti senti meglio?» mi chiede avvicinandosi di qualche passo.

«Mmh, per ora va così.»

Mi aiuta ad alzarmi e io mi fiondo in direzione lavandino, il mio alito non ha propriamente un profumo di rose.

«Oh, okay. Non ci capisco molto di gravidanze.»

«Figurati io.»

«Comunque se non stai bene resto a casa con te...» mi propone incerto.

Lo guardo attraverso lo specchio, mentre finisco di lavare i denti. «Tranquillo vai, non c'è niente di anomalo in tutto ciò.»

Mia per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora