Isabelle
«Lei lo conosce, Isabelle. La donna in sala d'aspetto conosce quel posto e io mi chiedo come dannazione sia possibile.»
Sgrano gli occhi incredula. «Cosa? A- aspetta un momento... lei non può saperlo. A meno che...» i nostri occhi si fissano per un lungo istante. « E se fosse tua madre?» Alle mie parole lui scoppia inaspettatamente a ridere. Una risata nervosa e, per niente allegra, senza dubbio.
«Come può essere mia madre? Dopo tutti questi anni. Sono certo che sia morta.»
«Ne sei certo... o preferisci credere che lo sia?»
Lui non risponde subito. Fissa le sue mani strette sul volante, pensieroso.« Che importanza ha? Se fosse stata lei l'avrei riconosciuta.»
«È passato tanto tempo, Devlin, tu la ricordi giovane, diversa da come potrebbe essere adesso. Non ha più vent'anni, ora è una donna adulta e forse è per questo che non l'hai riconosciuta, perché è invecchiata, mentre il tuo cervello la associa ancora ad una bellissima e giovane ragazza.»
Lui scuote il capo. «Non può essere lei, ti dico. Non può.» Le dita si stringono ancora più forte al volante e le sue labbra si serrano.
Provo un gran dolore nel vederlo così sofferente, vorrei che si sfogasse, ma so che è difficile per lui e non voglio forzarlo.
«Immagino tu ti stia chiedendo perché farsi viva proprio adesso. L'unico modo per scoprirlo è contattarla in qualche modo.»«Non ha lasciato nessun recapito.»
«Allora, forse, la troverai nel vostro posto segreto?» azzardo io accarezzandogli una coscia.
Lui si volta verso di me.«Perché mi guardi così?» chiedo alzando le spalle.
«Perché quel posto non esiste davvero. È un posto che ho inventato quando ero piccolo. Un posto dove mi rifugiavo quando uomini come Spencer andavano a trovare mia madre o quando ero a scuola e non volevo ascoltare le prese in giro dei miei compagni. Era un posto nel quale permettevo solo a lei di entrare, quando piangeva e io cercavo in qualche modo di consolarla.»
Devlin, 1994
«Devlin tesoro, adesso la mamma avrà da fare per un po', va bene?» Mia madre apre la porta della mia cameretta, mentre io sto giocando con le mie macchinine preferite.
«Che devi fare mamma, viene un altro di quegli uomini dal brutto muso?» dico facendo strisciare distrattamente le ruote dell'auto che tengo in mano.
«Sì e tu devi promettermi che farai il bravo. Io chiuderò la porta... a chiave, così nessuno ti disturberà.»
Sempre la stessa storia tutti i giorni. Ogni giorno uguale a quello precedente. Sono stanco di tutto questo, ma poi la mamma mi sorride e tutto cambia. Tutto si fa improvvisamente più bello e luminoso. «Va bene, farò il bravo.»
«Bravo, piccolo terremoto mio.»
Quando esce sento la chiave scattare nella serratura. E mi ritrovo di nuovo solo. Di nuovo chiuso nella mia piccola stanza grigia. Di là sento il campanello che suona, la mamma che va ad aprire. La voce di un uomo diverso tutti i giorni, che dice qualche frase stupida, prima di entrare; banale anche per un bambino di cinque anni. Poi la porta che si richiude, la mamma che offre da bere all'uomo. Lui seduto sul divanetto del salotto le sussurra qualcosa di volgare. La mamma ride ma non è mai una risata vera. Io la conosco bene la mia mamma. Comunque ora sono in salotto, ma fra poco andranno nella camera di mamma. Non so perché vanno lì. Per quanto io mi sforzi non riesco proprio a capirlo. A volte sento dei rumori, tipo dei grugniti o respiri affannosi come se corressero. I miei compagni più grandi di me di un anno e anche altri bambini delle altre classi mi prendono in giro. Dicono che la mia mamma fa la puttana. Non è stata la prima volta che ho sentito questa parola, altre volte l'ho sentita dire da alcuni uomini che vengono a trovare la mamma. Ma non avevo capito fosse una brutta parola. Quando ho detto alla mamma che anche i miei compagni la chiamano così è scoppiata a piangere e mi ha abbracciato forte. Mi ha chiesto scusa una, due, mille volte. Io mi arrabbio, perché i miei compagni fanno piangere la mia mamma, allora io ho imparato a far piangere loro. Poi però la mamma diventa di nuovo triste perché la maestra la convoca a scuola e le racconta tutto. Così lei ha paura che il mio comportamento possa attirare l'attenzione di persone cattive che mi porteranno lontano da lei. La mamma si sente sempre in colpa qualsiasi cosa faccio. Allora ho smesso di picchiare i miei compagni. Ho imparato a non ascoltarli più. A ignorare i loro insulti. A concentrarmi su qualcos'altro... sullo studio, per esempio. Mi piace tanto leggere, storie fantastiche, mondi mai visti prima, quello è il mio genere. Mi prendono in giro anche per questo. Perché vado bene a scuola. Perché ho la mamma puttana. Perché non ho i vestiti costosi e firmati come i loro. Stringo ancora tra le mani la piccola Ferrari, rosso fiammante. La mia preferita. La fisso e annuisco.
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Mia per vendetta
ChickLit⚠️La storia è in revisione, quindi se trovate incongruenze è perché la sto modificando Si odiano, ma sono inevitabilmente attratti l'uno dall'altra. ..... "Amore mio starò via solo cinque minuti" così gli disse sua madre, mentre erano di fronte all...