La notte era fredda e tetra, l'inverno ancora continuava ad imperversare tra le vie di Milano ed anche tra i parchi della città.
Il vento soffiava malvagio scuotendo i rami ormai spogli del loro più bel vestito, di tanto in tanto si udiva lo schiocco sordo di qualche ramo secco spezzato dalla forza dell'aria.
Alcune foglie secche rotolavano sulla stradina sterrata, intervallata di tanto in tanto da alcune pozzanghere mezze congelate.
Un'altalena ondeggiava nell'angolo più nascosto del parco anche se fiocamente illuminato da un lampione solitario la cui luce di tanto in tanto veniva a mancare, pareva quasi che un fantasma la stesse utilizzando per ritrovare il divertimento perduto con la morte e per le menti più suscettibili ad osservare bene e tendendo al massimo le orecchie, nel sibilo del vento, si poteva quasi percepire il suono agghiacciante d'una risata lontana.Non c'era nulla in quel parco, nemmeno un animale solitario perduto per chissà quale motivo.
Neanche un ragno a popolare quei giocattoli apparentemente abbandonati e dimenticati dai bambini.Non c'era la luna ad illuminare quella notte triste e fredda, un cielo coperto interamente di nuvole, nemmeno una stella ad indicare la retta via a chi, disgraziatamente, l'ha perduta.
La volta celeste aveva smesso di piangere, le poche gocce che ancora si schiantavano al suolo erano quelle strappate dal vento ai rami più alti.Nemmeno l'occhio più esperto avrebbe potuto individuare in quel buio persistente una figura umana abbandonata malamente su una panchina posizionata nei pressi di un grande salice piangente.
Uno di quegli alberi così grandi che, durante l'estate diventano il rifugio preferito di bambini accaldati e di piccole pesti che si divertono al gioco del "nascondino" o che fuggono dalle loro madri disperate che tentano di riportarli a casa.Un uomo dalla folta chioma scura composta di riccioli ribelli era là.
Solo.
Era seduto con le spalle abbandonate in avanti, come se fossero schiacciate dal peso del mondo e le gambe leggermente aperte, i gomiti posati sulle ginocchia e le mani a coprire il viso.
Non si capiva cosa stesse facendo né per quale motivo si trovasse lì.Ermal era silenzioso, rispettava a pieno quell'ambiente, non voleva interrompere nulla con la sua umana presenza.
Dopotutto anche la sua anima era triste e scura come quel luogo.
Non era mai stato in quel posto eppure quella sera, mentre vagava con l'auto e l'aveva individuato di sfuggita sfrecciando tra le vie di Milano non aveva potuto far altro che fermarsi, spingere con cautela il cigolante cancello di ferro e con attenzione percorrere il percorso sterrato sino a quella panca a lui congeniale.Non pianse.
Aveva finito le lacrime ma era scosso nel profondo, le parole che Silvia gli aveva gettato addosso, le accuse e soprattutto ciò che aveva letto nei suoi occhi...Tutto pesava come un macigno, mai in quei due meravigliosi occhi azzurri aveva letto tanto schifo e tanta delusione in un solo istante, aveva lo sguardo distante e distrutto di una donna ferita e maltrattata.
Trattata in quel modo infame proprio da lui, lui che l'aveva amata tanto. Lui che le aveva promesso di stare al suo fianco in ogni caso e che non avrebbe mai giocato con i suoi sentimenti.Si odiava.
In una sola notte, in pochissime ore aveva perso definitivamente Asia, lei era corsa via o meglio aveva raccolto i cocci di una vita intera e li aveva ricomposti com'era abituata a fare.
E poi c'era Silvia che sarebbe stata pronta ad accoglierlo sotto il suo ombrello, a scaldarlo con la sua coperta ancora una volta e lui aveva rovinato tutto.Seduto in quel parco cercava di riordinare le idee, di raccogliere ciò che restava del suo cuore e trovare un modo per ricominciare, per crescere e forse chissà, un giorno avrebbe potuto anche perdonare sé stesso.
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Fairy dust
Fanfiction***Sequel di Unexpected*** Più che la storia voglio raccontare la foto di copertina. È un'immagine ambigua, un po' come la fine del primo racconto. Questa foto può essere un tramonto ma per le anime ottimiste è un'alba, un nuovo inizio. C'è il mare...