Capitolo 44

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Asia tornò a casa nel pomeriggio, aveva trascorso la nottata a casa dei suoi genitori e la mattina era partita molto presto per tornare a Milano andando direttamente al lavoro senza passare da casa.
Era molto stanca ma la testa piena di mille altre cose, in primis quella lezione così intensa da sembrarle quasi un indizio da parte del destino.
Una sorta di richiamo a pensare meglio alla sua situazione sentimentale.

Ermal non lo sentiva da quando con rabbia e timore aveva chiuso la telefonata lo scorso venerdì, nessuno dei due aveva tentato di contattare l'altro.
Quel silenzio nonostante tutto ciò che provava le aveva fatto bene così come i due giorni di riposo con Elena al suo fianco e la cena insieme ai suoi genitori, Dodo ed il piccolo Tommaso, si sentiva quasi disintossicata dopo la lezione della mattina.

Quando fece scattare la serratura dopo appena mezzo giro di chiave si rese conto che qualcosa non andava, pensò che forse Ermal si era dimenticato di chiudere a chiave la porta uscendo per andare in studio, dubitava che ci fossero stati i ladri ed era ancor meno probabile che lui fosse in casa a quell'ora del pomeriggio.

Il salotto era deserto, in disordine ma di certo non aveva subito alcuna incursione esterna, la sua ipotesi era decisamente confermata.
Lasciò la valigia accanto al divano ed appese il cappotto al solito posto, stancamente si avviò alla camera da letto per togliere finalmente i jeans e indossare la sua solita tuta.
Non aveva pensato a cosa avrebbe fatto dopo e nemmeno alla cena, forse sarebbe solo rimasta sul divano con un libro ed immersa in un mondo lontano da tutti i suoi problemi.

Percorrendo il lungo corridoio che portava verso il bagno si rese conto di un minuscolo dettaglio, dallo studio di Ermal usciva un piccolo fascio di luce dalla porta sbaciata, non si sentiva alcun suono provenire dall'interno, sicuramente perché era una stanza  insonorizzata ma anche perché era quasi certamente deserta.
Scosse la testa, forse era solo la tenda che non era tirata a dovere e creava quindi quello strano gioco luminoso.

Fece tutto quello che doveva fare per poi prendere un libro di fantasia dallo scaffale, abbandonò i suoi scrittori preferiti in favore di Rick Riordan, avrebbe riletto tutta la serie di Percy Jackson scappando tra l'America moderna e l'antica Grecia, i miti di ieri e la tecnologia di oggi perfettamente fusi in un connubio eccezionale.
Chiuse gli occhi prima di iniziare a leggere ed assaporò l'odore afrodisiaco della carta stampata che la portò immediatamente lontano dalla grigia Milano.

Più tardi, forse un'ora o forse una manciata di minuti venne ridestata da un rumore che non si aspettava, uno che usciva dagli schemi, era il rilassante suono di un pianoforte, incuriosita e stupita si alzò alla ricerca dell'origine di quel suono.
La porta dello studio era ancora leggermente sbaciata ed il sottile fascio di luce non era certo originato dalla sua fervida immaginazione, lui era in casa.
Guardò l'ora ed erano da poco passate le cinque, doveva per forza esser sempre stato lì perché si sarebbe accorta dalla sua posizione della porta d'ingresso che si apre per far entrare qualcuno.

Era un suono leggero, etereo a tratti ma comunque tragico, straziante e causa di una tristezza non lacrimevole ma una di quelle che ti stringe il cuore e ti provoca un malessere pervasivo. Appoggiò la schiena al muro ed iniziò a fissare la porta lasciandosi trafiggere da quella melodia, pugnali crudeli che scagliavano solo fendenti non mortali, lasciò che la sua anima si lacerasse completamente sotto il peso di quelle note che erano anche amorevoli come l'abbraccio che aveva ricevuto il terribile giorno di marzo dal padre di Tommaso.
Con lentezza scivolò verso il basso insieme alle sue lacrime, in un solo attimo, senza rendersene conto, si trovò con le mani posate sul ventre a tenerlo forte, come se potesse scappare, come se avesse paura che quella cicatrice che aveva da quasi cinque anni potesse aprirsi ancora altre mille volte.

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