Capitolo 36

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Victor

La più grande bugia è la più probabile verità.
Doccia, vestiti, profumo e la mia persona.
Tutto ciò che basta per far andare questa cena a buon fine.
Lego la cravatta intorno al collo e appena concludo il nodo, mi sembra di aver un cappio legato attorno alla gola.
Ho preparato la mia condanna a morte alla perfezione.
Mi sento un bugiardo ma un bugiardo solo per una notte.
Aggiusto la cravatta e fisso il mio riflesso allo specchio.
Avere un aspetto impeccabile significa sembrare una persona che ha cura di sé.
Voglio impressionare gli altri.
Risultare perfetto.
Senza difetti.
Senza errori.
Mi sono sentito per così tanto tempo sbagliato, inadeguato, mai all'altezza delle aspettative.
E ora sono qui in una villa di mia proprietà, sono fra i migliori psichiatri di Seattle eppure c'è qualcosa che mi manca, l'approvazione di mio padre.
Lui non è soddisfatto.
Non è mai stato soddisfatto di ciò che ero, non è soddisfatto di ciò che sono, non sarà mai soddisfatto di quello che sarò.
Io mi sento un re ma per lui sono solo un bluff.
Nonostante i riconoscimenti, le vittorie per lui non sono mai salito su nessun gradino e non sono arrivato sulla vetta che lui ha raggiunto.
Ecco a voi Victor Horwell l'unico figlio abbandonato dalla madre e inadeguato per il padre.
Socrate diceva che esisteva un solo bene che è la conoscenza e un solo male che è l'ignoranza.
Eppure la mia cultura, la mia preparazione, non sono mai bastati, nonostante siano considerati un bene.
Mi incammino nella stanza e mi infilo la giacca. Per poi fermarmi davanti all'unico quadro che ho in stanza. È una copia dell'angelo caduto di Alexander Cabanel.
Sul volto dell'angelo prendono vita tutti i sentimenti umani. La lacrima del dipinto sembra fatta di cristallo. Il dipinto fu realizzato nel 1847, data in cui l'artista aveva raggiunto l'apice della sua carriera.
Emerge evidentemente un sentimento a me comune e caro...la rabbia. Ma oltre alla rabbia le lacrime dell'angelo sono dettate dal dolore.
Il diavolo come me è stato rinnegato da qualcuno e abbandonato a se stesso ad una vita che non ha chiesto.
La pena della ribellione e la pena massima della condanna ad una vita di infelicità.
Se non ti adatti alle regole diventi un reietto, un peccatore da tenere distante.
Allora io sono un ribelle.
Uno spietato rivelatore di verità quando posso,
un diavolo mascherato da uomo quando devo,
un peccatore che nasconde il suo peccato ogni giorno. Ma sono libero rare volte da me stesso.
Le donne con cui ho dei rapporti, non sono altro che catene che si stringono intorno a me.
L'unica che sembra concedermi attimi di libertà è Diana.
Una sirena che inganna con il suo canto come tutte.
Una dea vendicatrice che ha il solo intento di illudere e abbandonare un  diavolo come me.
Proprio come facevano le divinità, illudevano gli uomini di poterle avere, ma le potevano avere solo per una notte.
Questo e un mondo crudele e si sopravvive solamente essendo crudeli.
Le mie cogitazioni vengono fermate quando individuo una l'ombra di un bambino. Mi volto e mi ritrovo davanti mio fratello maggiore. Se ne sta fermo a fissarmi, con i suoi occhi azzurri che mi scrutano con attenzione.
"Che cosa vuoi Brandom?"domando incedendo nella sua direzione. Lui resta fermo e man mano che mi avvicino sul suo viso appare un sorriso divertito.
"Sei diventato davvero grande Victor..."asserisce.
Ero anni che non si faceva più vedere. Tutta colpa di Diana e le sue escursioni fuori dalla mia realtà.
"Che cosa vuoi?"ripeto ancora puntandogli un dito contro. Lui sorride in maniera beffarda e si sistema il papillon del suo completo elegante.
Sembra che sia davvero qui, magari lo è davvero, magari sono matto...
"Lo sai che quando tu non rispetti le nostre regole, io ritorno..."Ridacchia divertito e si porta una mano sulle labbra.
I capelli castani sono tagliati in un caschetto corto, proprio come lo erano l'ultima volta che l'ho visto prima che andasse via.
"Ti avevo avvisato Victor!" urla per poi spingermi. Lo spingo a mia volta e lui cade a terra e dalla testa inizia ad uscire del sangue.
Che cosa ho fatto?! Mi inginocchio e afferro il suo viso pallido fra le mani.
"Perdonami..."sussurro. Non volevo fargli del male, non volevo. "Perdonami..."ripeto rannicchiandomi e oscillando su me stesso.
Sono chiuso nel mio dolore, nessuno può capirmi.
"Signore..."La voce del mio domestico, attira la mia attenzione. Mi volto verso di lui preoccupato, ha visto che gli ho fatto del male. "Signore tutto bene?"domanda. Ritorno con lo sguardo fra le mie braccia. Mio fratello Brandom è scomparso. Era solo un allucinazione.
"Si, vada via..."ribatto. Mi alzo in piedi, esco dalla mia stanza e chiudo la porta dietro di me dopo aver lanciato un ultimo sguardo verso il punto in cui mio fratello si stava dissanguando.
Ora che lui è tornato, sono preoccupato, mi fa sentire in colpa tutte le volte e mi fa sentire sbagliato.
Finisco sempre per non capire più dove inizia la realtà e dove finisce la follia. C'è solo un confine nella mia testa che separa i due mondi.
Non ho mai chiesto di esserci, eppure ci sono e ora non mi tocca far altro che vivere e sopravvivere quando non riesco a vivere.

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