Canzone: He don't love me (Winona Oak)⬆️
Victor
Seduto sulla mia poltrona in velluto nera, al centro della mia stanza in soggiorno, tento di mettere a tacere le voci nella mia testa che urlano senza darmi pace.
"Shh..."sussurro, ma non la smettono e continuano a parlare e urlare.
Mi massaggio la fronte con una mano e con l'altra sorreggo il mio bicchiere di whisky. Non riesco a capire perché non riesco a liberarmi.
Sono un uomo che non riesce ad affrontare il suo passato.
I ricordi a volte sono troppo dolorosi da poter affrontare.
"No, non puoi tornare a casa Victor"asserisce con tono apatico dall'altra parte della cornetta.
"Papà, stanno tornando tutti a casa per le feste di Natale..."mormoro.
Il collegio ormai è vuoto, ci sono solo io e qualche insegnante.
"Gli altri non sono te. Avrai modo di non distrarti e studiare, voglio che diventi il migliore. Non voglio sentire altro. Ora devo andare, ho un intervento."
Mi chiude il telefono in faccia senza lasciare che ribatta. Chiudo il telefono, affranto.
È il quarto Natale che passo in collegio da solo. Mio padre non vuole che torni a casa. Sono il più bravo della mia classe, ho i voti migliori, eccello in tutte le materie eppure sembra non bastargli mai.
Non gli basto mai.
Mi continuo a domandare perché?
Cosa sbaglio?
Perché non mi vuole bene?
Tiene più al suo lavoro che a me. È sempre stato così, non c'è mai stato ad un mio compleanno.
Non c'è mai stato a Natale, per me non c'è mai stato.
Finisco sempre solo con me stesso, senza nessuno su cui poter contare.
Nessuno che mi mostra affetto.
Mi avvicino all'ampia finestra e vedo Natan che va via con i suoi genitori. La madre gli sorride, il padre gli scompone i capelli e gli sorride in maniera dolce. Vorrei tanto essere al suo posto, vorrei ma non lo sono. Quattordici anni e già così solo. Provo sempre più odio e rabbia che reprimo.
Ho un obbiettivo da raggiungere.
Voglio diventare un medico, voglio aiutare le persone ma non voglio guarire i loro corpi ma le loro menti. Magari così capirò come aggiustare anche la mia. Alla fine il corpo è una macchina perfetta. Tutto funziona finché non arriva un qualcosa a rovinare l'armonia. Come una nota che stona nella sinfonia, va rimossa. Va rimosso l'ostacolo. Questa situazione per me è deleteria.
Poggio la fronte contro la finestra fredda, raffreddata dalla neve che ha attecchito sui vetri.
"Solo..."sussurro. Il mio fiato caldo fa appannare il vetro e sopra ci scrivo una frase in latino.
Per aspera sic itur ad astra.
"Attraverso le asperità fino alle stelle" ripete una voce roca alle mie spalle. Mi volto lentamente e noto il rettore che mi fissa con sguardo compassionevole. Starà sicurante pensando "povero ragazzo abbandonato". Ma non sono povero ne abbandonato, ho me stesso a farmi compagnia.
Chi meglio di me.
"So cosa significa"ribatto camminando nella sua direzione.
"Ne ero certo, sei il migliore della tua classe. Non sono qui per discutere di questo. Tuo padre mi ha detto che resterai qui per studiare e mi ha detto di evitare che tu ti distragga, anche se credo che sia impossibile che tu lo faccia..."asserisce.
"Cosa vuole?"domando con tono aspro e indietreggio di un paio di passi.
"Vorrei darti un regalo. Non è nulla di che ,ma penso che ti piacerà" mi porge un manoscritto dalle dimensioni cospicue. Si intitola: "La Psicoanalisi" di Sigmund Freud.
"Ho notato che ti piace molto la psicologia, quindi ho pensato chi meglio dell'inventore della psicoanalisi per incominciare ad approcciarsi alla materia in maniera più approfondita." Sorride in maniera cordiale. Allungo una mano e prendo il libro. Sarà un modo per intrattenermi per qualche giorno.
"Grazie." Mostro un sorriso tirato e vado via, con l'intento di chiudere la conversazione e raggiungere la mia stanza. Per rinchiudermi nel mondo della mia mente e conoscere tutte le sue vie.
Poggio il bicchiere sul tavolino circolare accanto alla mia poltrona in pelle. Le fiamme nel camino si muovono come in una danza. Sposto lo sguardo verso una delle grandi finestra e osservo la neve che ormai si è depositata nel mio giardino. La stanza è completamente al buio e l'unica luce deriva dalla fiamma accesa che arde e riscalda la mia pelle, ma solo quella. Il gelo dentro di me non può essere sciolto, i miei sentimenti sono atrofizzati. Le mie speranze sono state infrante. I miei occhi sono ormai disillusi vivendo a stretto contatto con la realtà e non con la fantasia.
"Signor. Horwell, le porto qualcosa?"domanda Bernald alle mie spalle. Faccio cenno di no con il capo. Devo andare nel locale. Magari così potrò distrarmi a dovere. Oggi ho la serata libera, nessuna donna con cui soddisfare il mio corpo, distrarre la mia anima e alienare la mia mente.
Non c'è nessuna che io voglia, più di quanto normalmente la ottengo.
Mantengo la dovuta distanza da tutte, così nessuna può ferirmi, ma per nessuna vale la pena rischiare.
Mi sollevo dalla mia poltrona con uno scatto e fisso intensamente il fuoco finché i miei occhi non iniziano a bruciare. Chiudo gli occhi e inclino la testa indietro.
Arde tutto.
Bruciano i ricordi.
Bruciano le sensazioni.
Resta solo cenere di ogni cosa.
Sembra che non ci sia mai un modo per poter dimenticare tutto completamente. Resta sempre una cicatrice che ti rammenta tutto quello che hai vissuto. Una cicatrice nella mente e non solo una cicatrice sul corpo.
Mi incammino verso il vetro e fisso il mio aspetto. Sono un uomo di trent'anni, affermato, che ha tutto nella vita.
Il tutto che ho ora non riesce a compensare il nulla che avevo prima.
Pensavo che raggiunti i miei obbiettivi sarei stato bene.
Mi sembra sempre che mi manchi qualcosa. Che ci sia qualcosa che non vada.
Non sono soddisfatto di quello che ho, eppure ho tutto ciò che ho sempre desiderato...

STAI LEGGENDO
Darkest Knight
RomansaAlcuni eventi narrati si basano su fatti realmente accaduti. I veri angeli si nascondono fra le persone comuni, molto spesso hanno volti insignificanti ma cuori talmente grandi da rendere il mondo migliore. Agiscono in silenzio e non pretendono ac...