Canzone :Broken (Isak Danielson⬆️)
Victor
Nello stesso momento in cui l'anima viene privata del suo involucro di perfezione, nasce la psichiatria. La psichiatria viene intesa come strumento per la cura delle anima, attraverso l'uso della parola.
Ho sempre amato la potenza del pensiero e della parola.
Nietzsche considera la psicologia come l'unica scienza capace di comprendere i problemi fondamentali.
Secondo gli antichi, l'anima veniva concepita come qualcosa di perfetto e immateriale, appartenente al mondo del pensiero e della perfezione. Da qui derivano molte concezioni, il cogito ergo sum di Cartesio, oppure l'idea che l'anima appartenesse all'Iperuranio cioè il mondo delle idee di Platone.
L'anima veniva concepita come il soffio vitale.
Si potrebbe pensare che l'anima abbandoni il corpo attraverso l'ultimo respiro.
Non si poteva concepire in quei tempi che l'anima si potesse ammalare.
Non veniva nemmeno concepito che l'anima, non esistesse ma ci fosse la mente.
Ma cosa conduce l'anima o meglio la mente ad ammalarsi? C'è chi ritiene che la follia abbia radice nell'azione dell'uomo, che non pensa prima di agire, altri ritengono che l'uomo impazzisca perché pensi troppo. Ma come diceva anche mio padre: "il tuo studio, non ha una scienza certa...".
Ci possono essere più cause che possono portare al medesimo risultato.
Forse è proprio questo il fascino della psichiatria, non è un sapere mai del tutto certo.
L'uomo muta, i problemi mutano, il nostro modo di approcciarci al mondo muta e conseguentemente anche il veleno per cui possiamo ammalarci.
Diversi cause e diverse soluzioni.
Potremmo dire che c'è un continuo scorrere della vita e un continuo mutare del nostro modo di approcciarci alla vita.
La parola chiave della nostra epoca è: duttile.
Bisogna avere la capacità di adattarsi ad ogni cambiamento per poter sopravvivere.
Bisogna vestirsi ogni giorno, ad ogni ora, di una maschera diversa per essere adatti al prossimo ostacolo.
Alla fine anch'io sono un adattato o disadattato.
Non mi avvicino troppo, mantengo le distanze.
Resto fermo davanti al palazzo in cui vive mio padre. Come ogni anno sono qui per portargli una bottiglia di vino invecchiata e chiedergli come sta. Per poi andarmene il più velocemente possibile e il più lontano possibile. Nonostante continui a sminuirmi e denigrarmi, continuo a venire qui. Alla fine Natale è una volta l'anno. Scendo dalla macchina e impugno la bottiglia e cammino verso l'entrata. Il portinaio mi apre la porta e mi saluta con un cenno della testa.
"Signor. Horwell, come sta?"domanda sorridendomi gentilmente. Morris, il portinaio, è invecchiato quanto mio padre.
Mi ha visto crescere, visto piangere, andare via e mi ha visto non tornare più.
E ora mi vede ritornare come rito, come ogni Natale. Non per sempre ma per un momento.
Non ho intenzione di restare di più.
È già un grosso sacrificio essere qui in questo momento. Penso che questo umile portinaio, mi abbia persino voluto più bene, di quanto me ne abbia mai volto mio padre. Infatti per lui ho regalo più lauto, fatto con più desiderio e con senso di devozione nei confronti di questo uomo che per me era uno sconosciuto. Esco dalla tasca una busta, dove ho messo un assegno e un viaggio per le Hawaii per lui e sua moglie, la data la sceglieranno con calma.
"Nella stessa maniera in cui starai tu, appena vedrai il mio regalo di quest'anno..."ammicco nella sua direzione e gli porgo la busta.
"Le dico sempre che non deve farmi alcun regalo..."mormora abbassando gli occhi verdi. Mi sembra persino di sentire il suo senso di disagio.
"E io ti ripeto ogni anno di non dirmi ciò che devo o non devo fare. Per me è un piacere!"ribatto porgendo nuovamente la busta. La prende sollevando lo sguardo verso il mio viso e mi sorride cordialmente. La pelle del volto e ricoperta da macchie della vecchiaia. Ci sono rughe che adornano i lati dei suoi occhi e la sua bocca. Mi abbraccia improvvisamente facendomi irrigidire.
Perché la gente agisce senza pensare?
Gesti di amore o gesti di follia?
La mancanza di pensiero nell'azione, genera la follia.
Oppure è il semplice impulso del pathos?
Mentre questo domande attraversano la mia mente, resto irrigidito, mentre mi abbraccia e stringe forte a sé. Come se fossi qualcuno a cui ci tiene senza doverci tenere.
Appena mi lascia andare, gli mostro un sorriso gentile, che gli sarà parso il sorriso di uno psicopatico dal modo in cui mi ha guardato, vado via e mi infilo nel palazzo velocemente. Come quando ero bambino, sollevo lo sguardo e osservo la cupola interna del palazzo che è piena di dipinti. Sembra di guardare la cappella Sistina, almeno quando ero bambino era questa la sensazione che avevo.
Andare in un collegio in Svizzera, non solo mi ha permesso di apprendere le lingue antiche e quelle moderne ma mi ha dato anche la possibilità di viaggiare. Grazie ai finanziamenti di mio padre.
Le scale si biforcano in due grandi rampe adornante da ringhiere in ferro battuto che hanno dei particolari decori rappresentanti la flora e la fauna. In corrispondenza degli ascensori c'è una lunga fila, motivo che mi fa desistere dal prendere un ascensore.
Non mi piacciono i luoghi eccessivamente affollati, preferisco la solitudine.
Sarà perché ho trascorso una vita in solitudine e ora mi ritrovo a desiderare sempre di più l'unica cosa che conosco.
La psicologia molto spesso ribadisce che l'uomo non può stare da solo ma necessita di una persona accanto.
La mia persona accanto è l'altro me che vive dentro di me.
Knight è il mio unico costante compagno di vita.
Non mi impone limiti ma mi concede mezzi per valicarli.
Non mi impone divieti ma mi permette di compiere tutto ciò che è vietato.
Knight è come una sigaretta o un bicchiere di whisky, un breve momento di libertà da ciò che sono.
Un attimo di felicità dalla mia monotonia.
Il gioco gira tutto intorno a me.
Salgo i gradini a chiocciola velocemente.
A volte salendo più gradini per volta.
Appena raggiungo il piano di mio padre, mi fermo alla fine della gradinata.
Mi ricordo quando tornai, dopo aver terminato il collegio.
Ero arrabbiato, pieno di odio ma ancora con la voglia di voler essere speciale per lui.
Ancora con la voglia che lui mi accettasse.
Che mi dicesse : "Sono orgoglioso di te..."Quelle parole le ho sempre sognate ma non le ho mai sentite uscire dalla sua bocca.
Sono arrivato con la consapevolezza che quelle semplici parole, mai abbandoneranno la sua bocca amara e ricolma di veleno.
C'è chi odia e chi ama, mio padre odia.
E ora sono fermo alla fine delle scale, con una bottiglia in mano e i ricordi che mi scorrono davanti agli occhi come la pellicola di un film. Ero solo un ragazzo.
Con i capelli neri arruffati, con un enorme valigia piena di vestiti e esperienze, con una mente piena di nuove conoscenze, con il desiderio di essere riabbracciato dal propio padre, con la rabbia di essere stato rifiutato, per così tanto tempo.
Mi sono nascosto per tanti anni nell'oscurità a leccarmi da solo le mie ferite.
Lontano da chiunque.
Ma sono tornato comunque nonostante iniziassi ad amare la solitudine.
Sono tornato con tutto l'odio nei confronti di mia madre.
Lei ci aveva abbandonati.
Lei aveva fatto si che mio padre mi odiasse.
Lei mi aveva riempito di promesse che non ha mai mantenuto.
Lei mi ha legato ad una stella troppo lontana, che non avrei mai toccato, quella della speranza.
Lei mi aveva riempito gli occhi del fumo dei sogni che lentamente si sono disintegrati e hanno lasciato spazio solo all'aria della realtà.
Sono così arrabbiato, sono così arrabbiato con lei che avrebbe dovuto amarmi, invece di odiarmi talmente tanto da abbandonarmi con lui.
Sapeva che uomo era.
Si è portata via mio fratello, si è portata via il suo pancione con il mio nuovo fratellino, ma si è portata via anche tutti i miei sogni e le mie speranze.
Non riesco proprio a capire perché?
Eppure ci ho provato a capirla, ho provato a darmi delle spiegazioni.
E ogni spiegazione ha portato ad un'unica soluzione, nemmeno lei mi voleva.
Per lei sono stata solo un'ombra di cui poteva fare a meno e non era la stella di luce di cui aveva bisogno.
Le stelle che brillavano per lei, erano i miei fratelli ma non io.
Io non c'ero nella sua costellazione, non ero concepito nel suo piano di fuga.
Non ero previsto ml futuro della sua vita.
Il suo sogno era senza di me.
E io mi sono ritrovato perso nell'oscurità senza una strada da saper prendere e da poter seguire.
Ora sono solo in questo corridoio con la matta voglia di voler andare via.
Tornare indietro e non andare in avanti.
Eppure un uomo come me, dovrebbe saper affrontare tutto.
Non so affrontare il mio passato.
Vivo continuamente nella paura del rifiuto, una paura con cui covino da quando ero bambino, metto a tacere il mio dolore, con l'approvazione e le gratificazioni che deriva dall'alcol e le donne della mia routine.
Le donne che ne fanno parte, non mi rifiutano.
Sono ancora fermo nell'oscurità senza saper dove poter andare...
"Lascia che tutto scorra dalle tue mani alle mie. Lascia che le tue emozioni si rianimino nei tuoi occhi. Prova e non nasconderti, tocca e non pentirti. Vivi senza la paura di vivere..." le parole di Diana mi si ripetono nella testa. Quell'insolente ragazzina, che ha sempre la parola giusta, mi sta fottendo il cervello.
È come un kamikaze che non posso gestire.
Sono terrorizzato dalle sensazioni che mi provoca.
Ogni volta che richiudo gli occhi, mi ritrovo ad immaginare il suo viso.
Un viso che prima non era niente e ora sembra diventare una specie di mezzo per raggiungere la calma per la mia psiche!
Dannata ragazzina!
Lei con le sue parole e le sue promesse.
Eppure nei momenti in cui mi sento perso, sembra essere la mia strada sicura piena di luce che appare in un mare di oscurità.
Diana sembra essere una stella caduta su questa terra per guidarmi sulla giusta strada.
Poi mi ricordo che lei è una donna, che mi sta mentendo e che mi ingannerà.
Tutta la costruzione di donna angelo che mi ero creato, viene smembrata e fatta in mille pezzi.
Per favore torna alla realtà Victor! Lei non è una stella venuta per salvarti ma una dea venuta per ingannarti!
Ogni volta che sono con lei, sono un uomo libero ma quando ci separiamo torno alla realtà e realizzo che con lei non seguo la mia routine e questo mi fa impazzire.
Mi sento fuori controllo e devo fare qualsiasi cosa per riparare alla mia evasione, come fare una doccia di trenta minuti e riprendere a seguire la mia routine per il resto della giornata.
Diana rappresenta le ali della libertà, ma delle ali che non posso indossare.
Mi incammino con passo deciso verso il corridoio. I miei passi risuonano, ogni passo è sempre più arduo. Appena arrivo davanti alla porta dell'appartamento di mio padre, busso un paio di volte ed attendo che qualcuno mi venga ad aprire. La mia attesa non si prolunga per molto. Una cameriera mi viene ad aprire e mi saluta abbassando il capo. Quasi fa una riverenza, non ricordavo di essere un membro della famiglia reale ma va bene. Porgo la mia giacca alla cameriera di origine indonesiane e si congeda con un mezzo inchino. Chissà quante stronzate le avrà fatto credere mio padre. Le vetrate che circondano l'appartamento quasi splendono. La vista da quassù è sempre la stessa, magnifica. Le mura sono sempre dipinte del solito bianco ospedaliero. Sul muro centrale in salotto c'è il solito dipinto che rappresenta Pan che cerca di afferrare Siringa, un dipinto originale di Rubens che appartiene alla nostra famiglia da quando ne ho memoria. Era del mio tris nonno. Viene rappresentato il dio Pan, che secondo Ovidio era un dio metà uomo e metà capra che si innamora della ninfa delle acque Siringa. La rincorre per i boschi nel tentativo di prenderla e farla sua.
Finalmente individuo mio padre. Indossa un completo totalmente nero. I capelli castani sono adornati da numerose strisce argentee. La barba incolta evidenzia i suoi lineamenti duri. Gli occhi di un marrone chiaro simile al miele, sono fissi su di me. Sul suo volto non c'è segno di felicità. Ha una mano infilata nella tasca davanti del pantalone. Nell'altra mano ha un bicchiere di whisky mezzo vuoto, c'è solo il fondo del suo contenuto. Vizio di famiglia.
"Sei in ritardo Victor..."asserisce con tono glaciale. Ogni anno, nello stesso giorno, alla stessa ora, sono qui. Punta un dito verso l'orologio e mi fa notare che sono in ritardo di quasi un minuto rispetto agli altri anni. Quasi un minuto! Che grave affronto per Burt Horwell. Incede nella mia direzione. Resto fermo esattamente nel punto in cui sono.
Scontro tra leoni.
Scontro tra titani.
Scontro tra vincitori.
Questo non sarà un pacifico incontro ma l'ennesima guerra che non intendo perdere.
"Reputati già onorato della mia presenza, non dovrei nemmeno essere qui..."ribatto arcigno. Poggio la bottiglia sul mobile in legno accanto a me. Porta una mano sul petto e si finge offeso dalla mia risposta.
"Mi infastidirebbe più una mosca con la sua presenza che il modo in cui hai ribattuto. C'è sempre un che di delicato nel tuo modo di essere e di fare. Non sei ne sarai mai un vero uomo degno del cognome di questa famiglia..."il suo sguardo è pieno di odio quanto le sue parole.
"Credo che non sia un cognome adatto da essere portato da un uomo del tuo calibro. Senza onore e senza dignità!"urlo fuori di me. Ha la capacità di farmi perdere le staffe alla velocità con cui si possono sbattere le palpebre.
Sono appena arrivato e voglio andare via.
Non perché lui mi faccia paura, non perché lui mi ferisca, per il semplice motivo che non sopporto nemmeno il fatto che continui a respirare.
Mi sembra di sentire dei proiettili nella testa che annientano i miei pensieri.
L'uomo incapace di pensare agisce.
Agisce e sbaglia.
Cammino deciso nella sua direzione e appena annulliamo le distanze tra di noi, lo afferro per il bavero della camicia nera e gli sputo addosso tutto l'odio che sento.
"Vorrei che fossi morto. Freddo e senza vita. Non ti meriti di essere qui. Sei solo un vecchio acerbo che non si merita e non si meritava nulla dalla vita, eppure ha avuto tutto e quel tutto l'ha distrutto con le sue stesse mani. Non aspettarmi l'anno prossimo perché non mi scomoderò!" Lo spintono lontano da me. Lui mi fissa con lo stesso odio con cui lo guardo io.
"Non metterà mai più piede in questa casa. Sei un enorme errore esattamente come tua madre. Nonostante abbia provato a renderti perfetto e corretto, sei finito per essere un enorme sbaglio impossibile da correggere. Non c'è bisogno che tu mi prometta di non allietarmi più con la tua presenza Victor, sono io a dirti di non venire mai più! Ogni volta che metti piedi in questo appartamento, lo corrompi con la tua imperfezione!"mi urla contro. Prendo la bottiglia e la scaglio contro la grande vetrata che porta sul balcone. Il vetro della bottiglia si infrange mentre il vetro della porta finestra si ammacca.
"Resta solo con la tua rabbia ora!" Mi incammino verso l'uscita. La cameriera con mani tremanti mi porge il mio cappotto.
"Anche tu resti solo con la tua rabbia Victor! Non mi sembra di vedere qualcuno accanto a te! Perché tu sei come tua madre! Non puoi avere nessuno accanto!"continua ad urlarmi contro. Infilo la mia giacca e mi volto verso di lui. Le due vene sulla fronte si sono gonfiate. Segno che è infuriato.
"Tu credi che io sia solo. Ma la mia solitudine è un falso mito come la tua sicurezza!"
Apro la porta e la sbatto.
Appena esco poggio la schiena contro il legno duro della porta. Lo sento imprecare e lanciare oggetti.
Quando ero bambino pregavo che la smettesse di trattarmi male e smettesse di indossare la sua maschera.
Pregavo che bruciasse la maschera che indossava e con essa tutte le sue credenze ma non e mai successo e mai succederà.
Torno a casa con la dignità intatta,
con la vittoria in tasca,
con la certezza negli occhi e la verità nella mente.
Lui è un demone sulla terra che non cambierà mai e come me non cercherà mai la redenzione.
Forse finirò come lui.
Perso nel fuoco dell'inferno senza possibilità di uscire.
La scelta sta solo a me.
La scelta è solo la mia.
Non la sua, non di Diana e non di Richard ma la mia.
Ho tutto il potere della mia vita nelle mie stesse mani.
Sento la porta aprirsi dalle mie spalle. Interrompo il mio cammino e mi fermo prima di raggiungere le scale.
"Bourbon o cognac?"domanda mio padre alle mie spalle richiamano la mia attenzione.
"Bourbon, lo sai che preferisco il whisky..."ribatto voltandomi sogghignando.
"Sei proprio un Horwell..."
Scuote la testa e mi attende con la bottiglia in mano. Noi due abbia sempre fatto così.
È il nostro modo di rapportarci
Fatto di rabbia e ragione, non c'è posto per l'amore.
Posso in qualsiasi momento cambiare il mio destino, ma quel momento non sarà oggi e potrebbe essere mai.
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Darkest Knight
Roman d'amourAlcuni eventi narrati si basano su fatti realmente accaduti. I veri angeli si nascondono fra le persone comuni, molto spesso hanno volti insignificanti ma cuori talmente grandi da rendere il mondo migliore. Agiscono in silenzio e non pretendono ac...