Capitolo 45

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Canzone: Stayning up ( The Neighbourhood ⬆️)

Victor

La mia vita non si può definire un apoteosi morale.
Credo che sia evidente che la mia realtà sia opposta a tutto ciò che è legato al concetto di morale.
Sono passate due settimane dal mio ultimo incontro con Luce.
Due settimane in cui non ho toccato più alcun corpo.
Due settimane in cui ho spazzato via la mia routine.
Due settimane in cui mi sono cibato di alcuna donna.
E ora ho fame, ma ho fame solo di lei.
Strano come sia riuscita a legare un cappio intorno alla mia libido, un cappio stretto che la stringe ogni qualvolta sono accanto ad un'altra donna e si allarga concedendomi di respirare ogni volta che sono con lei.
Ho distrutto le mie regole e ho distrutto anche gran parte dell'argenteria della cucina e dell'arredo complessivo della casa.
L'ho sempre detto che senza le mie regole sarei uscito di testa.
Ogni volta che sono stato in clinica e lei c'era, l'ho evitata e lei ha evitato me.
Ci evitavamo eppure ci cercavamo allo stesso tempo.
Sguardi fugaci, parole pensato ma non dette.
Il tempo scorre.
Lei ancora è qui e non faccio nulla per legarla alla mia vita ma tento in tutti i modi di cacciarla fuori.
Diana e la mia seduta di ipnosi hanno rotto il già instabile equilibrio della mia psiche.
Ora non mi tocca far altro che cancellare via tutto e tornare quello che ero.
Ricomincerò accettando la proposta di Kaya. Magari lei e la sua mente perversa basteranno a cancellare tutto della mia stellina o ninfetta.
La mia Siringa che ha fatto capitolare tutto il mio desiderio erotico.
Vorrei cancellare la ninfetta dai capelli oro dalla mia mente.
Lei è propio una ninfetta dalla pelle opalescente, il cuore paragonabile ad un fiore di loto, e gli occhi di una Femme fatale ai miei occhi.
Osservo il cielo stellato che accompagna una delle mie tante notti insonni.
Come posso dormire se ho solo incubi?
Come posso dormire se c'è sempre qualcuno pronto a rincorrermi nella mia testa?
Non sono mai al sicuro.
Non c'è nulla che possa placare questo eterno senso di vuoto e insoddisfazione.
Qualcuno c'è ma non voglio che sia il mio qualcuno.
Lei sarebbe l'ennesima cicatrice da potarmi dietro.
Non ho più forza per sopportare dolore.
Faccio roteare il bicchiere con dentro i cubetti di ghiaccio.
"Vuoi scoprire la verità Victor?" Continua a ripetersi la stessa frase. Come se ci fosse un disco rotto nella mia testa che ripete sempre le stesse parole.
I miei sogni non sono sogni ma incubi.
La mia realtà non è tale.
Sembra tutto nero.
Poggio la fronte contro il vetro della finestra.
Il vetro si appanna sempre di più mentre respiro.
Disegno un fiore di luna sul vetro e immagino che sia il mio fiore di luna.
Un fiore di luna troppo piccolo per illuminare con la sua flebile luce le mie oscure notti.
Sono chiuso dentro la mia personale prigione.
Così chiuso, con tanta voglia di scappare senza mai farlo.
Resto nel mio recinto sicuro, dove nessuno mi può toccare.
Stringo il bicchiere fra le mani finché il fragile cristallo si rompe e il vetro non si conficca nel mio palmo.
Provo una serie di sensazioni che non riesco a definire così come non riesco a definire le emozioni del mio vissuto. Sono incapace di espormi. Di parlare di me.
Sono rotto,
rotto dentro e rotto fuori.
Le chiome degli alberi oscillano scossi dal forte vento invernale. Sembra un inverno eterno, senza fine.
Sarà perché il gelo non dimora solo l'esterno ma anche dentro di me.
Tutto è congelato.
Sentimenti ricordi.
Sollevo lo sguardo verso il cielo, così lontano da poter toccare ma non troppo lontano da poter ammirare.
Un paio di tocchi contro la porta della libreria mi risvegliano dal mio stato di trans.
"Avanti..."Abbasso lo sguardo verso la mia mano che sanguina. Mi volto completamente e lego le mani dietro la schiena, cosicché nessuno possa vedere i danni che me e me stesso decidono di infliggersi.
Bernald avanza con una lettera in mano.
Un'altra.
Un altro significato da capire, un altro indizio. Chi sei? Cosa vuoi da me?
"Signore...la vogliono al telefono..."sussurra porgendomi il telefono di casa. Non capisco perché, non sia stato reperito sul cellulare!
"Chi è?"domando iracondo a Bernald.
Chi diavolo chiama a quest'ora di notte?
Gli sfilo con poco garbo il telefono dalle mani e prima che mi faccia notare che mi sanguina la mano gli faccio segno di stare in silenzio.
"Con chi parlo?"
"È il signor. Victor Horwell?"
"Lei chi è?"
"La chiamiamo dal Grace Hospital. Suo padre è stato aggredito. Ha portato delle gravi lesioni.  È stato operato d'urgenza, era in atto un emorragia cerebrale. Non è in buone condizioni, dovrebbe venire qui..."asserisce la voce dell'altra parte della cornetta.
Così tante volte mentre mi picchiava, ho desiderato la sua morte.
Così tante volte ho desiderato ridurre le sue ossa in poltiglie.
Infrangere tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze come aveva fatto con me.
Volevo spezzare la sua anima e il suo corpo ma non l'ho mai fatto, perché era tutto quello che mi restava per quello che si poteva considerare una famiglia.
"Victor aiutami..."urla mia madre mentre la trascina in camera da letto tirandola per i capelli.
"Mamma!" Le corro dietro. La osservo mentre si dimena. E sorregge con le mani il polso della mano di mio padre che mantiene in una stretta morsa i capelli di mia madre. Prima che possa raggiungerla mio padre chiude la porta ed io finisco contro il legno. Sbatto i pugni contro e quando la sento urlare.
"Lascia la mamma!" Le mie urla si disperdono tra le mura. Brandom non c'è e io non riesco ad aiutare la mamma.
Gli occhi iniziano a pizzicare e mentre sento le urla agognati di mia madre, finisco per piangere con la testa poggiata contro il legno della porta. "Mamma...perdonami..."sussurro.
Perdonami se sono troppo debole per aiutarti.
"Arrivo..."mormoro con tono apatico e meccanico.
Non so come mi sento.
Sopraffatto dalle sensazioni.
Mi sfilo i pezzi di vetro dalla mano.
Mi sfilo il fazzoletto della giacca e lo avvolgo intorno alla mano. Il livido violaceo sull'occhio man mano sta scomparendo. Ho un
Mi cammino con passo deciso verso la porta.
Prendo il cappotto, le chiavi e il cellulare. 
Mi muovo in maniera veloce e meccanica.
Appena esco fuori, il freddo mi congela il viso.
Cammino deciso fino alla macchina e la accendo.
Appena entro dentro accendo il riscaldamento a palla.
Fisso il parabrezza e noto fra i tergicristalli una lettera.
Se la lettera è sulla mia macchina, qualcuno si è intrufolato dentro casa mia! Esco dalla macchina e afferro la lettera, per poi rinchiudermi in auto. Nello stesso momento chiamo Bernald e gli dico di chiudere per bene tutte le porte e le finestre e attivare l'allarme.
Appena chiudo la chiamata apro la lettera.
L'ennesimo disegno.
C'è l'uomo nero steso sul pavimento. La bambina che corre felice verso il ragazzo lontano che sorride.
Accendo la luce in macchina e noto che c'è una scritta in latino : "Venio" .
"Venire...giungere" mi ripeto fra me e me.
Poggio il disegno sul sedile accanto al mio e avvio la macchina.
Appena arrivo davanti al cancello mi ritrovo davanti dall'altra parte del cancello verso l'esterno c'è una donna in tuta ferma.
Il volto coperto dal cappuccio. Resta ferma e dopo qualche secondo inizia a correre. Apro il cancello e appena lo varco con la macchina non la vedo più. Con uno scatto mi immetto in strada e vado via.
Rincorso da demoni nella mente, ricorso da demoni nella realtà.
Sto impazzendo!

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