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Jimin sbatté la porta della sua stanza e girò la chiave, si rinchiuse dentro con l'intenzione di starci fino al giorno in cui quei due sarebbero scomparsi.

Non riusciva a credere che quello stronzo lo avesse insultato in quel modo.

Andò verso il suo armadio e prese una tuta e una maglietta a mezze maniche e si diresse verso il bagno per farsi una doccia.

Sotto il getto bollente della doccia diede sfogo a tutta la frustrazione che aveva in corpo da quando aveva ricevuto quelle minacce fino all'arrivo delle sue guardie del corpo...lacrime amare scorrevano ormai incessantemente sulle sue guance.

Non riusciva più a fermarle, era esausto da tutto ciò che era successo e dalla sua vita in generale, non riusciva più a lottare...era stanco di essere famoso, era stanco di sopportare quei due, era stanco di ballare solo per vincere...voleva solo essere un ragazzo normale, voleva solo andare a mangiare un gelato in compagnia di amici o andare al luna park...voleva solo la sua libertà.

Si accovacciò sul bordo della doccia e si rannicchiò avvolgendo le sue gambe con le sue esili braccia e continuò a piangere. Stette in quella posizione per un bel po' finché, non avendo più lacrime da versare, tornò nella sua stanza e spalancò la finestra che dava su un piccolo terrazzino e si sedette sul bordo della finestra osservando il magnifico panorama di una Seoul piena di luci e di vita.

Quando era depresso accadeva spesso che si metteva sulla finestra ad osservare la sua città, amava Seoul, era incantato dalla sua vitalità e dalla sua dolcezza, dalla sua camera poteva osservare benissimo il famoso ponte Banpo sopra il fiume Hangang.

Ormai era diventata un'abitudine guardare tutte le sere quel panorama, era invidioso di tutte le persone che stavano passeggiando in riva al fiume o passeggiando per le vie di Seoul.

Avrebbe tanto voluto vederlo da vicino, Jimin era talmente affascinato da quel ponte e dalla città in sé, soprattutto per il semplice fatto che non l'aveva mai vista, non aveva mai avuto il piacere di passeggiare per le vie di Seoul o fare un picnic in riva al fiume. Lo aveva chiesto tante volte ai suoi genitori fin da piccolo, ma ogni volta si sentiva rispondere sempre la stessa cosa:" "Non ora Jimin, devi pensare alla gara e ad allenarti, non hai tempo per passeggiare per la città".

Era ancora immerso nei suoi pensieri mentre osservava la sua meravigliosa città, quando sentì bussare alla sua porta. Non rispose, ignorò completamente quel rumore fino a quando non si fece più forte e incessante.

"Lasciatemi solo, smettetela di bussare, vi ho già detto che non uscirò da questa stanza fino a domani, quindi non preoccupatevi che non vado da nessuna parte e che non infrangerò per oggi le vostre regole del cazzo, andatevene via e lasciatemi in pace" urlò Jimin.

"Jimin, scusa...sono Tae...Kook se ne è andato. Ti prego mi puoi aprire solo un secondo, ti ho preparato qualcosa da mangiare visto che non hai mangiato nulla...ti giuro che ti lascio solo il cibo e me ne vado, non ti disturberò oltre, te lo prometto" disse Tae con voce molto calma e tranquilla.

Jimin rimase sorpreso dal tono della sua voce e rimase senza parole perché per la prima volta in tutta la sua vita qualcuno aveva fatto una cosa per lui senza che la chiedesse. Era talmente frastornato da tutto ciò che rimase per un po' a fissare la porta fino a quando non si alzò e fece scattare la serratura per aprire ad un sorridente Tae che teneva fra le mani un vassoio pieno di leccornie.

My bodyguardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora