Capitolo 21.

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Appena arrivai in ospedale e finii di cambiarmi, notai che Michela fosse già arrivata dal suo borsone sulla sedia. La cercai per tutto il reparto di pediatria e quando finalmente la trovai, la vidi seduta per terra con la schiena contro il muro e il viso triste.

«Mi sento una fallita e ho deluso tutti» borbottò Michela, passandosi una mano sui capelli.

«Le delusioni fanno parte della vita, è normalissimo. Pensi davvero che io sia arrivata a questo punto senza avere mai una delusione dalla vita? Ne ho avute a bizzeffe e mi sono resa conto di una cosa molto importante... avere delusioni ti aiuta a ricordare che prima di essere dottori siamo umani e questo non va mai dimenticato. Un dottore senza umanità è come una televisione senza corrente, non serve a niente» una dottoressa le accarezzò la spalla prima di andare via e ritornare al suo piano.

«È una giornata no?» mi sedetti accanto a lei con la schiena contro il muro. Non sapevo come approcciare con Michela mentre era in quello stato, l'avevo sempre vista allegra per cui non avevo idea di cosa dire.

«Già», sospirò e chiuse gli occhi, «mio padre non sta bene, ha bisogno di una trasfusione di sangue ma si rifiuta di farla perché la sua religione glielo impedisce» mi rivelò ed io mi stupii che stesse rivelando qualcosa di sé. All'apparenza Michela poteva sembrare una persona molto estroversa, ma in realtà non parlava mai di sé e la sua estroversione era solo grande espansività e allegria.

«Non c'è niente da fare per fargli cambiare idea?» le domandai, non sapendo cosa dire.

«Non riusciamo a convincerlo in nessun modo, lui dice che chi non crede non può capire... ma come puoi credere in qualcosa che ti porta alla morte? Per me è assurdo, tu credi?» mi chiese e per la prima volta vidi il grande muro di freddezza sciogliersi.

«No, non credo. Ma capisco a cosa ti riferisci. Quando ero adolescente avevo un'amica Testimone di Geova e la religione le impediva tantissime cose, infatti lei si distaccò perché non voleva far gestire la sua vita da delle regole imposte migliaia di anni fa» sospirai.

«Mio padre è profondamente convinto di questa cosa, se non fa la trasfusione muore» appoggiò la faccia sulla mano e il gomito sul ginocchio sospirando.

«Lo sa?» chiesi e lei annuì.

«La sua risposta sai qual è stata? È il volere di Dio» alzò gli occhi al cielo, «e che volere del cazzo!» esclamò, facendomi ridere.

«E se lui non sapesse che gli è stata fatta la trasfusione?» la guardai e lei aggrottò le sopracciglia. «Mi spiego, se lo fai ricoverare diagnosticandogli una stronzata di cui lui non sa niente. Parli con Learn, gli spieghi la situazione e vedi cosa ne pensa... credo che ti dia corda» dissi.

«Dici?» si fece seria.

«Non lo so, è un rischio certo... però io lo farei se servisse per salvare la vita a mio padre» sospirai.

«Allora vado a parlargli» si alzò in piedi ed io la imitai.

«Vai, copro io il tuo turno. Fammi sapere» le sorrisi e lei corse verso l'ascensore. Feci il solito giro mattutino, restando a giocare un po' con i bambini e dopo poco il dottor Green mi disse di preparare una bambina per la sala operatoria.

«Cosa deve fare?» gli chiesi mentre mi indicava la stanza della piccola.

«Suo fratello ha la leucemia, devo prelevare le cellule staminali dal midollo osseo perché lei è l'unica compatibile della famiglia» mi spiegò.

«Lei lo sa?» lo guardai e lui scosse la testa.

«Ha due anni e mezzo» mi disse, «pensi come deve essere scoprire di essere nati solo per curare il proprio fratello.»

Amethyst | H.S. #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora