Capitolo 39.

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Appena misi piede a casa con Connor, dato che Luke era rimasto in ospedale per non lasciare il reparto senza specializzandi, mi aiutò a togliermi il cappotto e tutto il resto dato che sembrava che un camion mi avesse travolta.

«Vuoi che ti prepari un tea, qualcosa di caldo?» mi chiese, ma io scossi la testa perché avevo la sensazione che se avessi bevuto qualcosa, avrei vomitato.

«Hei, grazie davvero per tutto, però ritorna in ospedale ora, non vorrei che prendessi una nota disciplinare per colpa mia» mormorai con gli occhi chiusi e appoggiai la testa sul cuscino, dopo aver scalciato via le scarpe.

«Non ti lascio da sola, non esiste» scosse la testa, «ho già detto a Luke di avvisare il dottore che resto qui e il dottore ha detto che va bene» mi mostrò il cellulare con i messaggi.

«Sicuro?» chiesi.

«Sicuro, ora fammi spazio» sorrise e si tolse le scarpe per stendersi accanto a me, «casa tua è molto bella» disse e mi girai verso di lui per appoggiare la testa sul suo petto.

«Grazie, non ho coltelli però» risi piano e lui mi strinse a sé.

«Dormi un po'» mi accarezzò la schiena ed io chiusi gli occhi, cadendo immediatamente in un sonno profondo.

Quando mi risvegliai, la prima cosa che vidi avanti agli occhi fu il viso di Harry a cinque centimetri dal mio mentre mi accarezzava i capelli sulla fronte in una dolcezza disarmante.

«Hei», gli sorrisi debolmente con gli occhi semichiusi.

«Hei, mi dispiace essere arrivato solo ora... volevo venire prima, ma sai com'è l'ospedale. Un continuo arrivo di casi in Pronto Soccorso e non mi hanno permesso di andare via» appoggiò il mento sul materasso e mi parlò con una voce molto delicata, che non gli si addiceva, ma era adorabile. Afferrai la sua mano e la strinsi sotto la mia guancia, tra la testa e il cuscino, per averlo più vicino.

«Non ti preoccupare» gli sorrisi, «Connor?» domandai, non vedendolo accanto a me.

«Se ne è andato» sospirò, «ha dormito vicino a te?» domandò.

«Sì», risposi e mi riaccasciai sulla sua mano e sul cuscino, «non iniziare, non posso sopportare anche te» mormorai, avendo già capito dal suo sguardo che fosse infastidito.

«Non ho detto una parola» alzò gli occhi al cielo.

«Meglio», sorrisi, «che ore sono?» gli chiesi, vedendo che fuori fosse quasi buio.

«Le sette, come ti senti? Hai fame?» mi accarezzò la guancia ed io chiusi gli occhi.

«Meglio e sì, ho fame. Non ho pranzato quasi» alzai la testa dal cuscino e lui prontamente mi aiutò a mettermi dritta, «tu come stai?» lo guardai mentre scendevo dal letto cercando di non perdere l'equilibrio.

«Bene?» rispose confuso. «Perché me lo chiedi?» mi seguì in cucina.

«Non posso chiederti come stai?» mi voltai a guardarlo.

«Sì, certo solo che non me lo chiede mai nessuno e mi fa strano» scosse le spalle, «sto bene, grazie» sorrise.

«Cosa vuoi mangiare?» gli domandai e mi voltai verso il frigo, ma lui prontamente si mise avanti a me per impedirmi di camminare.

«Siediti subito» indicò il divano ed io lo guardai con un sopracciglio alzato.

«Come, prego?»

«Siediti perché cucino io e non accetto obiezioni» indicò ancora il divano.

«Sto bene, dai Harry» provai a spostarlo, ma lui mi bloccò letteralmente le braccia e mi spinse contro il divano, facendomi sedere.

«Ho detto che ti siedi e cucino io» ripeté a cinque centimetri dal mio viso.

Amethyst | H.S. #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora