Capitolo 15.

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Quel giorno la dottoressa ci disse di raggiungerla in sala operatoria e di restare oltre il vetro ad osservare. Voleva che vedessimo in primo piano cosa saremmo andati a fare, almeno qualcuno di noi, in futuro. Eravamo tutti spaventati e non pronti psicologicamente a scendere lì giù, ma anche impazienti di fare qualcosa di davvero utile e nuovo.

«Dottoressa, ma non è un po' prematuro andare in sala operatoria?» domandò un ragazzo quando seguivamo la dottoressa ai piani inferiori.

«Non deve mica operare lei... ad ogni modo, perché crede questo?» si fermò e si voltò verso di lui.

«Non so, è la terza settimana che sono qui e non mi aspettavo di vedere già qualcuno operare» alzò le spalle.

«Come si chiama lei?» chiese.

«Max Castle» rispose lui.

«Max ascolti, se lei vuole restare qui a me sta bene, ma sappia che a me non serve a niente che voi stiate qui a misurare la pressione ai pazienti, perché è una cosa che chiunque può fare, non serve mica una laurea» scosse la testa, «siete dottori, diamine! Avete delle capacità immense e continuate a restare qui nel vostro porto sicuro. Credete davvero che sia questo il vostro scopo? Anche una nave ormeggiata in un porto è al sicuro, ma non è per questo che le navi sono state costruite. Quindi, se siete con me muovete i sederi e scendete in sala operatoria» ritornò a camminare e tutti la seguimmo scossi, ma anche tremendamente carichi dal suo discorso.

«Possibile che ogni giorno che passa mi innamoro sempre di più?» sussurrò Michela.

«Ti credo, mi sto innamorando anch'io» mormorai e raggiungemmo la sala operatoria.

«Io entro, mi raccomando non fate chiasso e per qualsiasi cosa premete questo pulsante così possiamo parlare» indicò una sorta di citofono sul muro.

«Non fate domande inutili, come vostro solito» esclamò una ragazza, la perfettina del corso.

«Nessuna domanda è inutile signorina» esclamò la dottoressa prima di andare via e lasciandola con l'espressione sbalordita.

«Finalmente qualcuno l'ha risposta» sbuffò Case.

«Le avrei gentilmente spaccato una sedia in fronte» annuì Michela.

L'operazione durò circa quattro ore e le ponemmo una serie di domande sulle tecniche usate, rendendola contenta. Si vedeva lontano un miglio quanto le piacesse insegnare, quanto le piacesse dirci tutto ciò che sapeva lei, senza avarizia e con tanta sincerità. Verso l'ora di pranzo raggiungemmo la mensa e mi appuntai mentalmente di dover fare la spesa dato che il frigo era quasi mezzo vuoto.

«AVA!» urlò Michela e corse dalla ragazza al tavolo, sedendosi accanto a lei ancor prima di aver preso un vassoio.

«Cosa succede?» borbottò lei con la bocca piena, girandosi verso Michela.

«Devi dirmi cos'è successo ieri con Styles perché Amethyst non è obiettiva» disse velocemente ed io scoppiai a ridere.

«Non hai dimenticato» scossi la testa e appoggiai il telefono con il cercapersone accanto ai loro sul tavolo. Per fortuna erano nominativi, altrimenti li avremmo confusi in continuazione.

«Mai!» alzò l'indice e si voltò verso Ava. Roteai gli occhi divertita e vidi Luke entrare in mensa, lo raggiunsi in pochi secondi e gli chiesi cosa volesse mangiare dato che si stava avviando verso il bancone.

«Qualsiasi cosa va bene, stamattina non ho fatto colazione!» esclamò e afferrò un vassoio per lui e per me. «Posso dirti una cosa?» mi disse, guardando il piatto che il signor Mupher gli stesse riempendo di pasta al pesto.

Amethyst | H.S. #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora