La febbre era passata da due giorni, infatti ero riuscita a ritornare in ospedale in tempo prima della fine della settimana in oncologia e quella sera Harry mi invitò a cena a casa sua dato che non ci eravamo visti dal lunedì precedente. Era giovedì sera, per cui mancava un solo giorno e avrei finito la settimana lavorativa, una delle più difficili insieme a pediatria. Difficili soprattutto in campo emotivo.
Scossi la testa e lasciai via questi pensieri mentre uscivo dall'ascensore del palazzo dove abitava Harry. Appena le porte si aprirono, vidi l'anziana signora che abitava accanto ad Harry guardarmi incuriosita e senza un minimo di discrezione.
«Posso farti una domanda?» mi domandò.
«Buonasera», sorrisi, «certo» annuii, sebbene fossi stranita dalla sua domanda.
«Ma perché Harry torna sempre a questi orari strani? Sempre tardi la sera, non sta mai a casa...» mormorò ed io sbarrai gli occhi per la sfacciataggine con la quale mi chiedeva quelle cose.
«Signora, è lavoro» dissi, non capendo cosa gliene importasse della vita di Harry.
«E si torna così tardi di sera?» sbarrò gli occhi, come se io stessi dicendo una stupidaggine.
«Harry non fa un lavoro d'ufficio dove si hanno orari prestabiliti, se arrivano persone che stanno male lui deve correre in ospedale» scossi la testa.
«E tutti i giorni arrivano persone che stanno male?!» sbuffò.
«Viviamo a Los Angeles, signora. Non in un paesino di campagna con cento abitanti scarsi e senza turisti» sorrisi forzatamente.
«Vabbe che c'entra!» esclamò.
«Devo andare» provai ad allontanarmi, ma lei mi bloccò.
«Secondo me non lavora solo» borbottò.
Scostai nervosamente il braccio dalla sua presa e la guardai incredula, «ognuno gestisce la propria vita autonomamente» la guardai male e mi diressi verso l'appartamento di Harry.
«Si può sapere dov'eri finita? Ti ho aperto il portone dieci minuti fa» mi disse appena aprì la porta.
«Ringrazia la tua vicina» alzai gli occhi al cielo e mi tolsi il cappotto.
«Cos'ha fatto?» sbuffò e appoggiò il mio cappotto sull'attaccapanni.
«Voleva sapere perché la sera torni sempre tardi da lavoro, ma cosa gliene importa?» esclamai.
«Cosa le hai risposto? Perché, solitamente, quando lo chiede a me riceve sempre urla in cambio» mi guardò.
«Le ho detto che ognuno svolge la propria vita in maniera autonoma. Cercavo un modo carino per dirle di farsi gli affari suoi» sorrisi e lui annuì.
«Hai fatto benissimo, dopo mi sente» borbottò.
«Non fare il caprone, evitala e basta» alzai gli occhi al cielo.
«Sono un caprone?» cercò di trattenere una risata.
«Un po' sì» feci una piccola quantità con le mani e lui rise.
«Bene, allora non ti do una cosa» alzò le spalle e si voltò per andare in cucina.
«Cosa?» chiesi subito.
«Eh boh, chissà... non lo sapremo mai» si voltò per sorridermi.
«È un regalo?» alzai le sopracciglia e sorrisi.
«Lo era, ora lo butto» si morse il labbro inferiore e quando mi incantai a guardarlo, sorrise ancora di più.
«Dai, dammelo» misi le mani a mo' di preghiera.
STAI LEGGENDO
Amethyst | H.S. #wattys2022
ChickLitAmethyst Wilson vive a Los Angeles in un appartamento che condivide con la sua migliore amica Yemaly da più di sei anni, da quando lei si è iscritta alla facoltà di medicina e Yemaly a quella di economia. Amethyst sogna di diventare un chirurgo di f...