Quel pomeriggio l'aeroporto era pieno zeppo di persone che, come me, avevano avuto la brillante idea di prendere il volo il giorno di Pasqua senza anticiparsi. La maggior parte erano ragazzi della mia età, probabilmente tutti di ritorno dalle proprie famiglie.
Erano passate più di tre settimane dall'operazione, quindi mi sentivo nel pieno delle forze.
Finalmente, dopo più di cinque ore di volo, misi piede a Washington e aspettai che mio padre mi venisse a prendere per poter andare a casa. Quando lo chiamai per dirgli che ero atterrata, mi disse che dopo cinque minuti sarebbe arrivato e, infatti, dopo cinque minuti vidi il suo sorriso luminoso avvicinarsi a me.
«Tesoro!» mi abbracciò stretta. «Possibile che in quattro mesi sei diventata più bella?» mi baciò la fronte.
«Smettila» risi e lo presi sottobraccio per andare alla sua auto.
«Non c'era bisogno che venissi, Amy. Undici ore di volo tra oggi e domani sono stancanti» mi accarezzò la mano.
«Se ragiono così non verrò mai più, papà» lo rincuorai, «non è un problema, davvero» sorrisi.
«Va bene, tua madre già ha iniziato a cucinare da ieri» mi comunicò e infilò la mia valigia nel bagagliaio dell'auto, «devi stare qui meno di dodici ore, a cosa ti serve la valigia?» mi guardò e si infilò in auto.
«Non iniziare» alzai gli occhi al cielo e mi allacciai la cintura, «ho portato quello che potrebbe servirmi» alzai le spalle.
«In una valigia di più di venti chili?» alzò un sopracciglio nella mia direzione.
«Dai, andiamo» indicai la strada, «ho una fame» mormorai.
«Bene, tua madre ieri mi ha mandato a svaligiare il supermercato» risi.
«Non mi stupisce» scossi la testa e continuammo a chiacchierare per qualche altra decina di minuti prima di arrivare a casa nostra. I miei erano separati da anni, ma avevano continuato a vivere insieme perché gli affitti erano molto costosi e non riuscivano a mantenere anche me a Los Angeles con l'università. Però, alla fine, si trovavano bene e avevano continuato così anche quando avevo iniziato a lavorare per mantenermi da sola.
Appena varcai la soglia di casa, mia madre mi venne ad abbracciare mentre i vari odori di quello che aveva cucinato mi inebriavano le narici.
«Amy» mi strinse a sé, «come stai? Hai una faccia» mi guardò disgustata.
«Sono le sette di sera, dopo quasi sei ore di volo che faccia dovrebbe avere?» mio padre mi difese prontamente ed evitò che le dessi una testata.
«Eccolo qua, iniziamo con le difese a spada armata» alzò gli occhi al cielo e ritornò in cucina, «John, vieni ad aiutarmi prima che ti avveleni il piatto!» urlò.
«Arrivo» rispose e mi sorrise, andando in cucina. Salii nella mia stanza e lasciai la valigia accanto al letto, prima di rispondere sia a Yemaly sia ad Harry che fossi arrivata. Andai a lavarmi le mani e mi cambiai la maglia per stare più comoda, anche perché dopo un volo mi sentivo sempre sporca.
«Come vanno le cose a Los Angeles? Raccontaci su» mi sorrise mio padre.
«Come sta Yemaly? Sta ancora con quel deficiente?» chiese mia madre e iniziò a mangiare il pollo.
«No, si sono lasciati per fortuna» dissi, ma omessi il come.
«Menomale! Era proprio viscido, mi faceva senso» scosse le spalle ed io annuii in accordo, «tu?»
«Cosa?» domandai con la bocca piena.
«Hai trovato qualcuno?» domandò ed io sentii immediatamente il cuore battere più forte nel petto.

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Amethyst | H.S. #wattys2022
ChickLitAmethyst Wilson vive a Los Angeles in un appartamento che condivide con la sua migliore amica Yemaly da più di sei anni, da quando lei si è iscritta alla facoltà di medicina e Yemaly a quella di economia. Amethyst sogna di diventare un chirurgo di f...