Capitolo 44.

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Harry's POV

«Due ambulanze in arrivo!» urlò la dottoressa Richards all'ingresso del pronto soccorso.

«Cos'è successo?» le chiesi, afferrando il tablet dalle sue mani e controllando se ci fosse qualcosa.

«Mi hanno detto solo si trattasse di un incidente stradale, saranno qui a momenti» mi disse.

«Sono libero, la aiuto» le dissi e lei annuì senza distogliere lo sguardo dall'uscita del pronto soccorso.

«Ecco» disse quando sentimmo le sirene dell'ambulanza e gli operatori sanitari entrare di corsa, spingendo tre barelle.

«Cosa abb-» iniziai, ma mi bloccai quando riconobbi il viso di una specializzanda sulla prima barella. «Lei lavora qui» indicai, non ricordando come si chiamasse.

«Lavorano qui tutte e tre Styles» mi disse Learn, avvicinandosi a me. Solo in quel momento alzai lo sguardo e notai che sulla seconda barella ci fosse la specializzanda bionda e sulla terza Amethyst.

Appena i miei occhi si posarono su di lei, sentii il cuore sprofondare nel petto e per la prima volta in vita mia sentii paura.

Paura di perdere l'unica persona a cui mi stavo finalmente legando.

E mi spaventai ancora di più quando vidi la gran quantità di sangue che avessero tutte e tre addosso.

Ma la mia attenzione era esclusivamente su Amethyst e di come fosse l'unica priva di coscienza, con le ferite più gravi e più medici attorno.

«Styles, devi operare tu» mi disse Learn, «non ci sono altri dottori disponibili e tu sei il migliore» mi guardò.

«Opero lei» indicai la ragazza di colore, di cui non ricordavo il nome.

«No, lei la opera la dottoressa Richards» disse, guardando il tablet

«Io... allora posso operare lei?» indicai la ragazza bionda accanto ad Amethyst.

«No, Styles. Lei non è grave. La dottoressa Wilson è grave e sei l'unico che può salvarla» si avvicinò a me, «ho capito che tra di voi c'è qualcosa, ma se non la operi tu non ce la farà Harry, quindi prendi coraggio e salvale la vita» sussurrò, per non far sentire a nessun altro. Annuii, capendo di non aver scelta e mi avvicinai agli infermieri.

«Ci sono sale libere?» chiesi.

«Sala operatoria numero 7.»

«Andiamo, veloce» dissi.

Ogni dannato passo che percorrevo mi maledicevo sempre di più per aver accettato, sebbene non avessi altra scelta.

Avevo paura.

Avevo paura che preso dall'ansia e dai sentimenti, avrei commesso qualche errore che avrebbe peggiorato la sua condizione.

Sentivo una sensazione di responsabilità maggiore del solito, perché lei non era una semplice paziente. Lei era l'unica che era riuscita a farmi sorridere dopo tanto tempo, e non le sarei mai stato grato abbastanza. La guardavo sul lettino, senza conoscenza e con la mascherina dell'ossigeno sul naso, mentre l'infermiera le premeva la ferita all'addome e mi mancava il fiato.

«Dottore, sta bene?» sentii chiedermi.

«Sì, andiamo» entrammo in ascensore e in pochi secondi raggiungemmo la sala operatoria. Mi lavai le mani e le braccia il più velocemente possibile, mentre mi aiutavano ad indossare il camice con la mascherina e la cuffia.

La guardavo dal vetro che mi separava dalla sala e vedevo come la passavano da un lettino all'altro senza un minimo di delicatezza per quel corpo, la cui vita ormai dipendeva solo da me.

Amethyst | H.S. #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora