«Sei impazzito?» praticamente urlai e mi avvicinai a lui furiosa. «Come ti permetti di cacciarli da casa mia?» allargai le braccia teatralmente.
«Mi permetto quanto voglio se vedo che stai male» rispose anche lui con la voce alta.
«Non sto male, Harry» mentii per non farlo preoccupare.
«Si, invece. Hai il viso pallido e ti toccavi il fianco mentre parlavi con quello» allargò le braccia, «quindi non sgridarmi, perché finché vedrò che qualcuno ti fa sforzare lo caccerò da dove mi pare tutte le volte che voglio» asserì.
Al di là del suo modo di esprimerlo, sapevo che lo stesse dicendo solo per il mio bene, quindi, abbassai la voce e provai a calmarmi.
«Sei stato rude» dissi e lui si avvicinò di poco a me con lo sguardo meno arrabbiato.
«Anche loro considerando che non si sono preoccupati della tua salute, ma solo dei loro stupidi esami» sbottò e si passò una mano tra i capelli in segno di frustrazione.
«Non se ne sono resi conto, non lo hanno fatto con egoismo» li giustificai. Era la verità, li conoscevo abbastanza bene da poter dire che non se ne fossero resi conto. Non erano i tipi da approfittarsi di qualcun altro al limite delle sue forze.
«Si, come vuoi» alzò gli occhi al cielo, «non mi scuserò con loro, quindi non dirmi di farlo. So già che stavi per dirlo» disse.
«Lo so» sospirai e mi diressi nella mia stanza sentendo i suoi passi dietro di me seguirmi.
«Sei arrabbiata?» sentii dirgli e lo vidi sedersi sul bordo del mio letto.
«Non sono arrabbiata, mi ha dato fastidio che tu li abbia cacciati in quel modo» sospirai e mi appoggiai con il sedere contro la scrivania per guardarlo.
«Ho esagerato un po' e mi dispiace, ma non mi pento di averlo fatto» scosse la testa e si appoggiò con gli avambracci sulle sue ginocchia.
«Lo so, ma mi hai fatta sentire a disagio» guardai il pavimento per poi riguardare lui.
«Mi dispiace» mormorò, incastrando lo sguardo nel mio.
«Lo dici tanto per dire?» domandai, non capendo se fosse onesto o no.
«No, dico sul serio. Mi dispiace averlo detto in quel modo e averti fatta sentire a disagio. È solo che ho visto come stavi male e come nessuno se ne accorgesse e ho reagito di impulso. Mi dispiace, davvero» disse serio.
«D'accordo», mormorai, non sapendo più cosa dire.
«Ancora non hai il reggiseno?» mi chiese, fissando il mio petto ed io scossi la testa.
«No, però domani lo metto anche se mi fa male» sospirai e incrociai le braccia al petto.
«Tu hai fatto entrare quei depravati qui senza avere il reggiseno addosso?» alzò un sopracciglio.
«Quindi?» non capii.
«Quindi?» ripeté.
«Non capisco cosa c'entri il mio reggiseno con loro» scossi la testa, «non è in base a come sono vestita se qualcuno ci prova con me o no, tantomeno sarà il reggiseno ad impedire che qualcuno allunghi le mani» alzai gli occhi al cielo.
«Chi è che allunga le mani?» scattò con le sopracciglia aggrottate.
«Nessuno, era un esempio. Calmati» dissi e alzai gli occhi al cielo.
«Non fare esempi» borbottò.
«E tu non dire cose stupide» ribattei.
«Non era una cosa stupida» mi guardò male.
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Amethyst | H.S. #wattys2022
ChickLitAmethyst Wilson vive a Los Angeles in un appartamento che condivide con la sua migliore amica Yemaly da più di sei anni, da quando lei si è iscritta alla facoltà di medicina e Yemaly a quella di economia. Amethyst sogna di diventare un chirurgo di f...