«Sto impazzendo, non capisco quale sia il problema di questo paziente» sbuffai e appoggiai la fronte contro la mano.
«Spiegami» disse Harry con calma. Ero nel suo ufficio seduta di fronte a lui, con la testa china sul foglio e la penna che picchiettava contro la fronte, cercando di capire qualcosa.
Alzai lo sguardo su di lui e lo vidi scrivere qualcosa a computer, «se sei impegnato non ti preoccupare» dissi.
«No, Thys. Stavo solo completando le cartelle cliniche in sospeso, nulla di impegnativo quindi spiegami tutto» scosse la testa.
«Okay, la Richards ci ha assegnato questo caso di malattia rara. Il paziente presenza crisi di ipoglicemia secondaria» lessi il foglio, picchiettando nervosamente la matita sulla scrivania.
«Innanzitutto», disse per poi sporgersi verso di me e bloccarmi il polso, «ferma questo rumore, per favore» mi guardò negli occhi.
«Scusa» mormorai, «lo faccio quando sono nervosa» sospirai.
«Pensi che le informazioni che hai sono sufficienti per una diagnosi di malattia rara?» mi chiese con calma. Mi stava facendo arrivare da sola alla soluzione ed era proprio per quello che ero lì, non per avere la soluzione e basta.
«Hhm... no, credo di no. Non mi ha detto nulla di sostanzioso» sussurrai, «cosa dovrei fare?» domandai.
Alzò lo sguardo su di me, «cosa pensi che dovresti fare?» ridomandò indietro. Quanto era insopportabile. Ma sapevo che solo così ci sarei arrivata da sola.
«Penso che dovrei andare dal paziente e osservarlo» dissi.
Sorrise e annuì, «e allora alza il tuo bel sederino e vai dal paziente, invece di stare qui a fissare il foglio» indicò la porta con l'indice.
Annuii e mi avviai verso la porta senza nemmeno salutarlo. Ero in fibrillazione, sapevo che solo andando da lui la mia mente si sarebbe aperta.
Bussai alla porta del paziente e quando entrai lo vidi mentre teneva la testa in un secchio e vomitava. Al di là della scena disgustosa mi avvicinai a lui e gli accarezzai la schiena in conforto. Non c'era nessuno nella stanza con lui e immaginai quanto si sentisse solo nel peggiore dei suoi momenti senza nessuno accanto.
«Come si sente?» domandai, afferrando il secchio e portandolo ai piedi del letto.
«Male» sussurrò con il volto stanco e si stese di schiena contro i cuscini, «non ce la faccio più, dottoressa. Sono solo, mia moglie non viene a trovarmi da una settimana e i miei figli non mi chiamano più» fece una smorfia e capii che stesse per piangere, «non ce la faccio più... non ce la faccio più. Il dolore fisico è già tanto, loro hanno aggiunto anche quello emotivo» scoppiò a piangere e mi ritrovai a non sapere cosa dire.
Lo lasciai sfogare per qualche minuto e notai che mentre piangeva non fuoriusciva nessuna lacrima dai suoi occhi e lo trovai strano perché sembrava davvero disperato.
«Mi scusi» sussurrò dopo poco e alzò debolmente la mano per strofinarsi gli occhi.
«Aveva bisogno di sfogarsi, non si preoccupi» sorrisi e afferrai la sua mano. La strinsi leggermente e notai che la sua stretta fosse molto debole.
«Le dispiace se dormo un po'? Sono stanco, davvero stanco» sussurrò e chiuse gli occhi.
«Dorma pure, non si preoccupi. Ci vediamo più tardi» sorrisi e lasciai la stanza.
Mentre ritornavo da Harry ripercorsi le informazioni che avevo notato.
Vomito.
Mancata lacrimazione.
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Amethyst | H.S. #wattys2022
ChickLitAmethyst Wilson vive a Los Angeles in un appartamento che condivide con la sua migliore amica Yemaly da più di sei anni, da quando lei si è iscritta alla facoltà di medicina e Yemaly a quella di economia. Amethyst sogna di diventare un chirurgo di f...