Capitolo 2.

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Dopo una lunga sessione di stalking, io e Yemaly eravamo crollate dalla stanchezza senza nemmeno cenare.

Il mattino dopo, infatti, mi svegliai con una gran fame.

Preparai una tazza di yogurt con i cereali e li mangiai, scrollando la home di Instagram e mandando un buongiorno ad entrambi i miei genitori, divorziati da anni.

Indossai un semplice jeans con una felpa, approfittando del fatto che Yemaly stesse ancora a letto, per cui non avrei ricevuto alcun insulto da parte sua.

Quando ritornai in cucina ed afferrai il telefono dal banco colazione, mi resi conto di quanto fosse tardi.

«Em, scappo!» urlai in preda al panico, cercando di raccattare quanto più velocemente la giacca e la borsetta.

«Ciao, Amy. Buon lavoro!» mi urlò dalla camera da letto, ancora sotto le coperte.

Aprii la porta e corsi verso l'esterno del palazzo, non mi resi neanche conto della pioggia e maledissi mentalmente me stessa, la mia disorganizzazione e la mia distrazione per non aver preso un ombrello.

Alzai il cappuccio sul capo e mi affrettai verso l'ospedale, cercando di rifugiarmi sotto le tegole dei palazzi per evitare di bagnarmi.

Avevamo l’auto, ma la usava Yemaly per andare in banca, dato che il suo posto di lavoro era nettamente più lontano del mio.

Ovviamente, però, aveva promesso di venirmi a prendere nel caso in cui ci sarebbe stato un temporale.

Improvvisamente una macchina si accostò accanto a me.

L'ansia che potesse essere qualche mal intenzionato prese il sopravvento.

Prima che iniziassi a correre lungo la strada, il finestrino dell'auto si abbassò e mi resi conto che si trattasse del dottor Styles.

«Lei» mi chiamò, «piove.»

Sherlok Holmes qui davanti a me.

«L’ho notato» risposi.

«Salga in auto» disse e lo vidi cliccare il pulsante per sbloccare le porte.

«Non si preoccupi, la ringrazio» sorrisi.

Sospirò e alzò un sopracciglio, «salga.»

Evitai di alzare gli occhi al cielo per i suoi modi e mi affrettai a salire.

Entrai nell'abitacolo e abbassai il cappuccio sulle spalle.

Tatto incredibile quell'uomo.

«La ringrazio e mi scusi se le sto bagnando l'auto» dissi mortificata, cercando di non incontrare il suo sguardo per l’imbarazzo.

«Non fa niente» si limitò a dire guardando oltre il parabrezza.

Lo vidi azionare il riscaldamento e sorrisi per la gentilezza che stesse mostrando.

Per tutto il tragitto in auto pensai a cosa poter dire dato che aveva un’espressione estremamente seria mentre guidava e non proferiva parola, ma alla fine lasciai perdere e immaginai che volesse solo essere lasciato in pace.

«Siamo arrivati» annunciò.

Scendemmo velocemente dall'auto e ci dirigemmo verso l'ingresso dell'ospedale, alcuni ci guardavano di sottecchi, altri invece sussurrano tra di loro indicandoci.

«Perché ci guardano in questo modo?» chiesi, non essendo abituata ad essere sotto i riflettori.

Odiavo avere gli occhi su di me, mi mettevano estremamente a disagio e mi facevano sentire insicura, più di quanto già non lo fossi.

Amethyst | H.S. #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora