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E invece no. Daria non lascia perdere.

Le due settimane successive a scuola sono un inferno. Mi sento più vicina a quei genitori che piazzano i figli di fronte alla tivù pur di zittirli, perché vorrei fare lo stesso con la mia migliore amica, che è tutta un "allora che skate compro?" e "allora quando si comincia?".

Io prendo tempo, ma a metà novembre sono costretta a capitolare.

Siamo in bagno, a scuola. La campanella dell'una è già suonata da un pezzo, ma Daria ci tiene a cambiarsi e truccarsi un po' prima di andare al centro commerciale. È così presa da questa storia dello skate che, prima ancora di comprarsene uno, vuole riadattare il suo abbigliamento al nuovo hobby.

Hashtag: priorità da veri skater. Hashtag: sarcasmo.

Ma ormai ho detto sì, quindi che posso farci? A parte alzare gli occhi al cielo quando va a fare pipì.

Mentre lei si cambia anche i vestiti, io mi avvicino allo specchio e studio la mia pelle. È tutta secca.

«Madonna, questo freddo mi spaccherà le labbra» mi lamento. «Tu non è che hai un burrocacao, per caso?».

«Sì, dopo ricordamelo che te lo presto. Anzi, puoi anche comprartene uno, sai? Non vale come cosmetico, se è questo che ti preoccupa».

Le faccio il verso, intanto lei va avanti a parlare su quale tipo di felpa dovrebbe comprare. Io continuo a studiarmi le pellicine sulle labbra e fingo di seguirla buttando qui e là qualche vago cenno di assenso.

Poi un'altra porta del bagno si apre.

Così, dal nulla. Avevo dato per scontato che fossimo sole, a quell'ora, e invece no.

Esce Carlotta.

La guardo dallo specchio, lei fa lo stesso con me mentre si avvicina.

Io resto pietrificata. Si mette al lavandino di fianco al mio, nonostante ce ne siano altri quattro liberi, e comincia a lavarsi le mani con cura.

Sembra appena uscita da Riverdale, mica da una toilette con turca. Manicure perfetta, anelli coordinati agli orecchini, gambe fasciate da un paio di collant a pois che la slanciano ancora di più.

Io abbasso lo sguardo sulle mie mani, con le unghie corte, prive di qualsiasi abbellimento, fosse anche uno smalto sbeccato. Il confronto con lei è impietoso. Daria sta ancora parlando, dietro la porta, ma io mi sento così insignificante che smetto di ribattere pure con quei quattro monosillabi in croce.

Poi, a un certo punto, Carlotta si asciuga le mani. Butta la carta nel cestino, torna al suo posto davanti allo specchio ed esamina il trucco. Non so cosa dovrebbe ritoccare, onestamente. Fatto sta che cerca qualcosa nella sua tracolla. Ne estrae un piccolo beautycase. Tira fuori un Labello alla ciliegia, col tappo rosso scuro. Se lo passa sulle labbra, decisa, poi lo richiude e infine lo lascia lì, a metà tra il suo lavandino e il mio.

Mi guarda nello specchio, accenna un altro sorriso. Io non so che fare. Mi fa un occhiolino velocissimo e alla fine, appena prima che Daria spalanchi la porta, avvicina il burrocacao alla mia mano, sfiorandola.

Se ne va.

Così come è arrivata sparisce, lasciando dietro di sé una scia di profumo allo zucchero filato.

Daria la rimpiazza subito. Io resto frastornata da questo brusco cambio. Si lava le mani allo stesso posto che fino a un secondo fa occupava Carlotta, poi nota il Labello.

«Ah, allora ce l'hai» dice andando ad asciugarsi le mani.

«Sì» rispondo confusa. «Sì, me l'ero scordato nello zaino».

Poi prendo il burrocacao. Me lo rigiro tra le mani. Levo il tappo e lo annuso. Non so che odore mi aspetto che abbia, a parte quello alla ciliegia. So solo che è piacevole e allo stesso tempo disturbante.

«Allora, andiamo?» mi incalza Daria, impaziente, sulla porta.

«Sì, arrivo, inizia ad andare».

Lei sparisce, io resto sola. Fisso il mio riflesso un'altra volta ancora. Infine, dopo una piccola indecisione, passo il burrocacao di Carlotta sulle mie labbra.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora