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Chiusa a uovo. A terra. Sconfitta, una volta per tutte.

È così che la sto lasciando.

Tiro dritto fino al portone e lo apro. Sento la pioggia cadermi addosso. È una bella sensazione. Ho bisogno di ripulirmi.

Ma poi arriva. Il colpo di coda. La sua voce, stridula, mi attraversa come una lama. Colpisce alle spalle, come sempre. Ma stavolta nemmeno mi giro. Accelero il passo, con lei che mi corre dietro come un cagnolino. Non le permetterò di toccarmi.

«Aspetta! Non andare via così, non puoi!».

Posso eccome. E lo faccio. Ogni volta che mi si para di fronte, la scanso. Inarrestabile, come se neanche la vedessi. Arrivo al marciapiede e mia madre mi apre la portiera per facilitarmi la fuga. Lei si mette al posto del passeggero, papà mi controlla da dentro l'abitacolo.

«Belinda! B.!».

Entro in macchina. Carlotta mette le mani tra me e la portiera, per impedirmi di sbattergliela in faccia. Non mi faccio impietosire: se vuole perderci le dita, non sarò certo io a tirarmi indietro.

Le do uno schiaffo sulle mani protese verso di me, e lei mi guarda incredula. Non capisco dove comincino le gocce di pioggia sul suo viso e dove le lacrime, ma ormai non m'importa.

«B.» sussurra.

Io non rispondo più. Ho detto quel che dovevo.

E alla fine si arrende. Quando il mio silenzio le scoppia in faccia, forte e chiaro, si ritira.

Ho vinto io. Sono libera. Libera di sbatterla fuori dalla mia memoria, un pezzettino alla volta.

Chiudo lo sportello con forza. Lei mette la sua mano destra sul finestrino bagnato.

«Parti» dico a papà. «Andiamocene».

Lui annuisce. Si gira per controllare che Carlotta non sia incastrata nella portiera. La mamma invece la fissa dallo specchietto laterale come se volesse incenerirla con gli occhi.

«Ho detto parti!».

Inserisce la prima e la macchina scatta in avanti. Le dita di Carlotta lasciano cinque strisce sul finestrino bagnato. È una fortuna che piova, perché queste ultime tracce di Carlotta nella mia vita vengono cancellate subito. Una volta per tutte.

Chiudo gli occhi e mi abbasso sul sedile, ordinando a me stessa di non piangere.

Non mi volto.

Non voglio vederla.

Non voglio rimpiangerla.

Non voglio amarla, mai più.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora