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«E quindi mi abbandoni per le vacanze?».

«Sì, ma non dirlo come se l'avessi scelto io» rispondo a Daria. Il Latte di unicorno che le ho offerto al Maggie's Pantry non è servito ad addolcire la sua reazione. E nemmeno i biscotti di accompagnamento.

«Ma scusa, non può venire tua nonna qui, come sempre? Perché quest'anno dovete andare voi fino a Mantova?».

È imbronciata. Si era già immaginata che saremmo state insieme tutti i giorni, con i calzettoni morbidi ai piedi, pronte a mangiare pandoro e zabaione. E come darle torto.

«Ma che ne so» dico. «Anche io avrei preferito passare le vacanze qui. Con te, con Simo, coi ragazzi. E invece...».

«Finirà che dimenticherò tutto quello che ho imparato sullo skate!» si lamenta.

«Guarda che allo skatepark puoi andarci anche senza di me, sai?» rido. «Non sono mica il tuo lasciapassare».

Va avanti a bofonchiare frasi incomprensibili finché finisco il mio matchalatte. Le lascio il tempo che le serve per sfogarsi. D'altra parte, anche io ci ho messo due giorni ad accettare che avrei passato il Natale in una città nebbiosa, senza mare e senza amici. L'unica nota positiva è che la nonna mi rimpinzerà di biscotti alla cannella e regali. Almeno quello.

Fuori dal nostro bar preferito, il centro di Senigallia brilla di luminarie. L'atmosfera è magica, la mia preferita in assoluto, ma Daria con le sue lagne sta spegnendo ogni barlume di felicità natalizia. Il risultato è che ora non ho più molta voglia di andare a pattinare alla Rocca Roveresca, così glielo faccio presente.

«No, ehi, non ti azzardare a togliermi anche questo! Adesso si va e ci si diverte!» esclama indignata.

Ci impieghiamo un paio di minuti ad arrivare. Il freddo è pungente, ma tanto tra poco ci scalderemo per bene. Andiamo a prendere i nostri pattini e ci sediamo nell'unico buco rimasto sulle panchine intorno alla pista. Venire di sabato pomeriggio è bello, ok, ma può essere anche snervante per la gente che c'è – e che costituisce un mezzo pericolo pubblico, visto che la metà delle persone deve ancora imparare a scivolare sul ghiaccio, e non a camminare.

Mentre ce ne stiamo lì ad armeggiare con i lacci, l'occhio mi cade sulla parte opposta del parterre. C'è una ragazza che mi dà le spalle, e mi colpisce molto il modo in cui è vestita: maglione natalizio rosso e bianco, con renne e fiocchi di neve, cuffietta in testa abbinata e jeans appena strappati.

Si gira di colpo, come se stesse cercando qualcuno all'ingresso.

È Carlotta. Di nuovo. È una mia impressione o ultimamente la vedo ovunque?

Resto seduta e continuo a osservarla. È così affollato qui che di sicuro non mi noterà. Mi chiedo chi stia aspettando. Forse un ragazzo, a giudicare dall'insistenza con cui muove la testa per sbirciare verso l'ingresso.

Un'idea comincia a vagarmi nel cervello. Se tra qualche minuto sarà ancora lì, con quella faccia da cerbiatta sedotta e abbandonata, potrei invitarla a stare con noi. È penoso per tutti essere bidonati, giusto? Figurarsi per una come lei, che non deve esserci abituata.

Daria si alza, si stiracchia un po', è quasi pronta. Io prendo tempo, mi stringo ancora i lacci e intanto sbircio verso Carlotta.

All'improvviso il suo viso si illumina. Sorride e pattina veloce verso... verso di me?

Me?

È aggraziata, sembra che non faccia altro dalla mattina alla sera. I suoi capelli biondi volano all'indietro mentre si avvicina.

Non so bene cosa dirle. Dovrei invitarla subito? Chiederle se stia aspettando qualcuno? Però se lo facessi rischierei di mettere il dito nella piaga. Forse dovrei solo ringraziarla per il burrocacao. Dovrei restituirglielo?

Quando si fa abbastanza vicina, decido di alzarmi con finta nonchalance, di modo da far coincidere i nostri tempismi e trovarci casualmente faccia a faccia.

Lo faccio. Mi tiro su col sorriso già stampato in faccia.

Ma Carlotta non è di fronte a me. Non c'è.

È filata dritta, alla mia destra, all'inizio della pista.

Fino a oggi essere invisibile non mi è mai pesato, anzi. Ma adesso no. Qualcosa è cambiato. Perché avvampo, come se il mio corpo volesse attirare l'attenzione da solo, visto che io non mi azzardo a parlare.

In silenzio la guardo abbracciare tre ragazze, una a una. Resto in piedi, col volto girato appena verso di loro. Cerco di ascoltare cosa si dicono, solo che il vociare dei bambini è così rumoroso da rendermelo impossibile.

Dentro qualcosa inizia a infastidirmi. Come un tarlo nella testa. Non è curiosità, so bene chi siano le sue amiche, sono in classe con lei. È qualcosa di diverso, questo, più ingombrante. È un desiderio smodato che mi veda, che riconosca la mia presenza, oltre a quella delle altre ragazze; che la subisca, persino. Così come io ho subìto la sua, nei bagni della scuola.

Sono delusa. Perché io sono qui, a pochi metri, e lei non mi degna di uno sguardo. Mi fa persino dubitare che il suo burrocacao sia ancora nella tasca dei miei jeans.

Carlotta prende per mano una delle sue compagne e la porta al centro della pista. Io fisso quella stretta finché non riconosco l'emozione che mi si sta radicando dentro.

Sono delusa, e non solo. Anche invidiosa.

È Daria a tirarmi via dal vortice dei miei pensieri. Mi afferra per un polso e quasi mi fa cascare per terra.

«Oh, ma che fai?! Attenta!» sbotto senza neanche accorgermene.

«Stai calma, è tre ore che ti chiamo e non mi rispondi...» ribatte lei, sorpresa e offesa allo stesso tempo dal mio tono. «Andiamo o no?».

Inspiro e cerco di togliermi di dosso la frustrazione. È più difficile del previsto. «Ok».

«Non capisco che t'è preso» continua lei mentre cominciamo a girare in tondo sulla pista.

«Niente» mento. «Non m'è preso proprio niente».

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora