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Mentre io e Daria cuciniamo il pranzo, Carlotta sceglie gli outfit. Ormai fa caldo, dice, possiamo osare di più. La cosa mi mette in ansia. Non mi sento proprio in vena di osare, se c'è lei nei dintorni.

Mangiamo poco e male, alla fine. Loro provano un miscuglio di eccitazione e paura. Io solo paura, che è la migliore alleata del digiuno. Sento Daria ammettere di non voler sfigurare, Carlotta non vuole sbagliare quei pochi trick che sa fare. Io, zitta.

«Sei agitata anche tu?» mi chiede Carlotta sparecchiando.

«Non mi piace esibirmi».

«Ma non ci esibiamo mica. L'idea è quella di divertirsi».

«Sì, be', non ci riesco se qualcuno mi guarda».

«Ma come no?» ride. «Allo skatepark ti guardano sempre tutti. Johnny, Omar, Simo. Io ti guardo sempre, sei bravissima».

E quel complimento così, a bruciapelo, mi zittisce ancor più dell'ansia. Mi stringo nelle spalle e la aiuto a rassettare.

«Inizia pure a truccare Daria, qui finisco io» le dico infine, perché ho il bisogno fisico di restare da sola almeno un minuto di questa giornata.

Vanno in camera, rintanate nella cabina armadio. Daria è abituata alle mani di Carlotta sul suo viso. Io no. Decisamente non è una cosa a cui voglio sottopormi, men che meno oggi. Mettere la tua faccia nuda sotto una luce ad anello ti fa sentire esposta, vulnerabile. Doverla offrire a Carlotta, poi...

Mentre Daria fa da prima cavia, io cerco il coraggio per dire a Carlotta che non voglio. Posso concederle di pettinarmi, di ribaltarmi la vita, ma non di vedermi brutta.

Una volta pulita la cucina, tergiverso. Le raggiungo in camera, cercando di non pensare che dall'altra parte del muro c'è la stanza degli ospiti dove ho dormito – o almeno, ci ho provato – un paio di mesi fa. Loro sono così prese in quella cabina armadio che nemmeno mi sentono arrivare.

Studio la cameretta. Mi guardo nel suo specchio incorniciato da polaroid e lucine. Tocco l'orlo della maglietta che ha scelto per me e non posso che sorridere. C'è stampato sopra, nero su bianco, un bel "See you later!". Il che è una specie di citazione del nostro primo incontro.

See you later, alligator.

Ma perché continua a fare così?

Perché prima fa gli occhi dolci a Edoardo e poi mi fa ascoltare Nights with You? Perché mi crea questa strada di briciole dolci e letali allo stesso tempo se poi non è pronta a percorrere proprio questa strada assieme a me?

Sono pazza io, forse? Leggo male tra le righe? O piuttosto è lei a giocare coi fili della mia mente?

A un certo punto, presa da un'irritazione crescente, butto lì un: «Io mi sa che passo, non mi trucco».

Per un attimo dalla cabina armadio non arriva nessuna risposta. Poi, come una mamma benevola ma severa: «Non ci pensare neanche. Ok che sei già bella così, ma questo è il nostro debutto social come crew, non si scherza».

Non ho le forze per contraddirla. Mi siedo sul letto e comincio a cambiarmi prima che esca. Non posso impedirle di vedere la mia faccia nuda, ma il mio corpo almeno sì. Per ora.

«Dai, Belinda, tocca a te!».

«Ma perché non la chiami Linda come tutti?» fa Daria, ridendo.

«Perché io non sono tutti, ti pare?».

Oh, Gesù. Mi butto una mano in fronte e non so se ridere o piangere. Poi mi alzo e vado verso la cabina. Daria si è alzata dalla sedia, ma rimane lì. È molto bella, la sua pelle sembra più luminosa e compatta. Pare più adulta. Solo che... Solo che vorrei se ne andasse. Quello è uno spazio troppo piccolo per tutte e tre.

Carlotta invece sta pulendo i pennelli. Senza neanche guardare Daria le dice: «Ok, Da, tu vai a vestirti mentre io la trucco, altrimenti finisce che arriviamo tardi».

E si libera di lei così, facile come respirare. Mi faccio da parte per far passare Daria e non posso che invidiare la facilità con cui Carlotta sa disfarsi di quello che non va. La invidio perché mi è chiaro che io, questa facilità, non l'avrò mai.

Poi restiamo sole.

Mi metto sulla sedia, rigida, e non dico una parola. Partiamo dal fondotinta ed è subito difficile. Con una spugnetta rosa mi massaggia le guance, la fronte, il mento. Di nuovo, come quando è venuta a casa mia con le maschere, è troppo vicina. Di nuovo, io le annuso la faccia inspirando con cautela.

«Resisti, dai» dice a bassa voce. «So che è difficile farsi truccare da altri se non l'hai mai fatto prima, ma fidati di me».

Poi passiamo all'ombretto e all'eyeliner. Devo tenere gli occhi chiusi, ma tutte le volte che appoggia il pennello, le mie palpebre tremano e si spalancano.

«Scusa» dico.

«Rilassati» mi tranquillizza. Mette una mano sotto il mio mento e sorride. «Non tenere gli occhi serrati, se ti dà fastidio. Guarda in basso. Pensa a cose rilassanti, che ne so, pensa a una canzone».

I nostri sguardi si incrociano. Il suo tiene prigioniero il mio. Poi comincia a canticchiare a bocca chiusa.

Nights with You.

«Non puoi fare così...» sussurro, alzandomi dalla sedia e abbandonandomi a una risata stanca.

«Così come?» ride. «Dio, quella canzone ti rimane in testa così facilmente». Mi si avvicina, mi mette una ciocca dietro l'orecchio e mi squadra. «Comunque abbiamo finito». Mi tiene ferma dalle spalle. «Girl, you're gorgeous».

Dopodiché esce dalla cabina armadio, lasciandomi in un punto a metà strada tra l'eccitazione e il terrore.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora