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Basta poco per convincere Daria che Carlotta non è un pavone e basta.

Più precisamente, bastano tre caffè offerti alle macchinette durante la ricreazione, i compiti di inglese di tutta la settimana e un sabato pomeriggio al centro commerciale. Con Carlotta.

Certo, io ho fatto il mio. Sono stati circa sette giorni di implorazioni e convincimenti continui. Ma anche Carlotta ha avuto la sua parte. Io non le ho detto niente riguardo Daria e la nostra lite, ma deve aver captato qualcosa. Perché dal lunedì successivo allo skatepark si è messa a salutare Daria ogni giorno. Ogni giorno. Guardandola, con un sorriso indirizzato a lei e a nessun altro.

«Su, Da, che ti costa? Avevi detto che dovevi andarci comunque al centro commerciale. Non ti serviva qualche maglione nuovo?».

«Sì, ma con Carlotta? Mi puzza, questa situazione. Perché di punto in bianco passa le ricreazioni con noi e non con le sue compagne? Le vedo, sai, che ci guardano male».

«Come vuoi» ho sbuffato. «Se preferisci andare a fare shopping con tua madre...».

E qui, esattamente qui, l'ho convinta. Quando sul piatto ho messo la signora Mariardi e sull'altro Carlotta, la gara si è conclusa in fretta.

«E va bene! Ma se mi sta sulle palle non ne voglio sapere più niente, ok?».

Così eccoci che giriamo nella galleria del Maestrale. Non è un vero pomeriggio di shopping, il nostro. Piuttosto è cazzeggio. Ma va benissimo anche questo, anzi, lo preferisco. Penso che se entrassi nei negozi e saccheggiassi – come mio solito – solo il reparto uomo, Carlotta potrebbe stranirsi.

Dopo una cioccolata calda al bar (momento in cui Daria si apre e svela a Carlotta cosa ci sia di sbagliato in sua madre, ovvero tutto), ci dirigiamo verso Kiko. Inutile dirlo, è Carlotta che lo propone. Ha bisogno di non so quale sfumatura di magenta da stendere sulle unghie.

Poi, proprio mentre stiamo per entrare, da lontano intravedo Simo. Con una ragazza.

Caspita, è bella. Lunghi capelli ramati, carnagione chiara, fisico slanciato, occhiali.

Non vorrei farmi beccare mentre lo spio, ma è proprio quello che succede. Mi saluta da lontano, così avviso le ragazze che torno subito. Vado da lui.

«Ma è super cute!» gli dico, a voce bassa. Anche la ragazza è rimasta in disparte, guarda distratta una vetrina. Simo scuote la testa e ride.

«Super cute?» ripete, scettico. «E questa da dove ti viene?».

«Eddai, su, hai capito» dico. «È molto carina. Sei uscito con lei, domenica?».

«Sì». Guarda indietro, verso la ragazza, e qualcosa nei suoi occhi scuri – sempre sarcastici e taglienti – si addolcisce di colpo. «Si chiama Gaia».

«Be', bravone!». Gli do una pacca leggera sulla spalla e per un attimo invidio quello sguardo sognante. Non credo di avercelo mai avuto, io. «Non fartela scappare».

Lui si ridesta e torna a guardarmi. «È presto per dirlo. Tu piuttosto» rigira il discorso, come sempre quando è a disagio «che ci fai qui? Sei con la zia?».

«No. Amiche». Indico il negozio alle mie spalle. Daria e Carlotta stanno provando degli smalti aiutate dalla commessa. «Pomeriggio tra ragazze».

Simo mi guarda perplesso. Vorrebbe chiedere (e lo so bene): pomeriggio tra ragazze? Tu?

Ma non lo fa. Ricompone la sua espressione, studia anche lui qualcosa dietro di me, e infine dice solo: «Be', è "super cute" anche la tua nuova amica». Mima le virgolette e gli do uno spintone poco convinto. «Dai, torna da loro. Io torno da Gaia».

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