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«Ho bisogno di te».

Sapessi io.

Guardo a naso in su Carlotta. Me ne sto seduta al mio banco durante la ricreazione. Devo copiare i compiti di latino perché, svampita come sono in questi giorni, me ne sono dimenticata.

Lei mi sorride dall'alto, raggiante. I suoi orecchini a cerchio sono esagerati. Oscillano e mi distraggono.

«Dimmi pure» rispondo tornando a scrivere come un automa.

«Presente Edoardo?».

«E chi se lo scorda».

Carlotta con uno slancio si siede sopra al banco di fianco al mio. «Ha una partita a calcetto con gli amici e mi ha invitata».

Metto giù la penna e la guardo confusa. «Ma tu non sai giocare a calcio».

«Per guardarlo, scema!» ride. «Non è proprio un appuntamento, infatti l'ha buttata lì quasi per caso. Ha detto che posso portare altre amiche, se voglio. Poi magari ci scappa un aperitivo».

Mando giù. «Non puoi portare Daria?».

Lei fa una smorfia e abbassa la voce. «Diciamo che non la vedo molto sul pezzo» dice. «Pensavo di andarci solo io e te».

«E a lei non vuoi dirlo?» chiedo per conferma. «Se lo scopre, ci resterà malissimo».

«Appunto. Se lo scopre». Pausa. «Sarà il nostro piccolo segreto». Occhiolino. «Uno dei tanti». Sguardo indecifrabile. «Allora, ci stai?».

Sbuffo e mi reggo la testa con una mano. No, la cosa non mi piace. Escludere Daria non mi pare giusto. E poi ho zero voglia di rivedere la faccia di Edoardo.

Carlotta nota la mia perplessità e decide di rincarare la dose.

«Eddai, B., pensa a quei bei ragazzi che corrono dietro a un pallone... tutti sudati... decisi a impressionarci...».

Tutte ragioni in più per defilarsi.

«Già» dico. Però mi esce come un verso schifato. «Quando sarebbe?».

«Domani».

Nel mio cervello scatta la scintilla che può salvarmi. «Negativo. Domani sera c'è il compleanno di Simo. Sai che non me lo perderei per nulla al mondo».

I suoi occhi quasi cadono all'ingiù per la delusione. Eppure non demorde, perché dopo qualche secondo di riflessione torna all'attacco.

«Be', puoi fare entrambe le cose».

Oh, no. No, no, no.

«Voglio dire, se loro giocano per le cinque del pomeriggio, finiranno per le sei. Sei e mezza, sette, col tempo di una doccia. Poi possiamo andare via, così tu vai a festeggiare tuo cugino».

«Non lo so» tentenno. «Mi sembra un po' troppo tirata».

«Eddai!».

«E poi, come pensi di arrivare fin lì?».

«Ci facciamo accompagnare da mia madre e alle sette al massimo, cascasse il mondo, verrà a riprenderci».

La guardo. Non vedo altre scuse per mollare. E se a questo aggiungo anche la mia paura di lasciarla sola con un gruppo di soli maschi...

Oh, perché sono così stupida. Perché.

«Ok, ok» acconsento mentre lei esulta. «Ma prometti che alle sette siamo libere?».

«Croce sul mio cuore».

«Cioè?».

«Cross my heart» ribadisce con una mano sul petto, a mo' di soldatino fedele. «Prometto, B. Non preoccuparti».

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora