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Così, è fatta.

Ora giochiamo a carte scoperte, io e Carlotta.

Per questo il giorno dopo, nonostante se ne stia andando con Simo, li saluto entrambi con il cuore leggero. È come se qualcuno mi avesse appena tolto dalle spalle uno zaino pieno di pietre. Riesco a tenere la schiena dritta, riesco a vedere la luce della giornata, perché ora lo so con assoluta certezza: non mi rifiuta.

Anche Carlotta ha scelto me, come io ho scelto lei.

E non m'importa dell'America, una soluzione la troveremo. Non sento più l'aria cupa post funerale. Persino la mamma si sta dando da fare a inscatolare roba e firmare scartoffie. Ha bisogno di uno shampoo, sì, ma tutto qui. Se lei può già andare avanti, posso farlo anch'io, giusto?

La realtà un colore diverso, adesso. Gli ultimi giorni di scuola rimasti, l'estate davanti, mi sembra tutto investito di una luce nuova e brillante. Non posso fare a meno di chiedermi: ma dove ho vissuto finora? Perché avevo così paura?

Saluto lei e un imbronciato Simo senza troppi patemi. Sono tranquilla, forse addirittura felice.

«Ci vediamo tra qualche giorno» mi sorride abbassando il finestrino. Simo mette in moto e lei si sporge un altro po'.

«Mi raccomando, studia» le dico. «Quando torno voglio sentire la tua tesina a memoria».

Mio cugino alza gli occhi al cielo, saluta svogliato e parte così di fretta che quasi investe un ragazzo che dall'altra parte della via. È il biondo delle condoglianze, il ricciolino, che rientra a casa sua.

Dopo poco la macchina svolta. Io resto a fissare quel vuoto, sperando che Carlotta abbia dimenticato qualcosa e debba già tornare indietro. Da me.

Quando faccio per aprire la porta, mi accorgo che il ragazzo biondo mi sta fissando da dietro il suo cancello.

Sorride. Saluta. Infine sparisce anche lui.

Nei giorni seguenti le cose cominciano a prendere una piega diversa. Non peggiore, solo diversa.

Carlotta mi scrive meno di quello che vorrei, ma tento di dare la colpa di questo silenzio alla maturità incombente. Non voglio disturbarla, così sto buona anch'io.

Però i dubbi si insinuano. Perché Edoardo è lì. E io, be', io sono qui.

A dare manforte alla mia ansia ci si mettono anche le tre ore di macchina che passo con papà. Abbiamo deciso che io e lui torneremo a Senigallia, perché così potrò finire l'anno senza troppe assenze. La mamma nel frattempo resterà a Mantova. Ha preso un'aspettativa a lavoro, ma il fatto che nessuno dei miei genitori sappia quanto durerà mi fa stare in allarme.

Cosa c'è da fare ancora, a Mantova? Sistemare la casa? Ok, ma quanto può volerci? Non è che dobbiamo ristrutturarla per venderla.

O forse sì?

È papà a rispondere a questo mio dubbio. Mentre siamo in auto, a circa metà viaggio, comincia a sospirare sempre più spesso.

«Tutto a posto, pa?» gli chiedo quando inizia a diventare insopportabile.

«Sì». Irrigidisce le braccia verso il volante, poi fa una smorfia e aggiunge: «Devo farti una domanda».

All'improvviso ho paura.

Ha capito. Mi ha vista con Carlotta. Non siamo state abbastanza attente e ora vuole chiedermi se sono lesbica. Che devo dirgli? Come gli faccio promettere di non dirlo a mamma?

Mentre il panico prende forma sul mio viso, lui si affretta a tranquillizzarmi.

«Nulla di grave, stai calma».

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