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La sua risposta mi arriva così in fretta che non ho neanche il tempo di uscire dalla chat.

Vero. Non sono neanche quello che credevo io stessa di essere.

E questa cosa sarebbe? Una specie di ammissione di colpa lagnosa? Sto per risponderle proprio questo, ma lei mi anticipa.

So sorry. Ti prego, possiamo vederci stasera? Parliamone!

Scuoto la testa con un sorriso beffardo. Adesso vuoi parlarne? Dopo un mese? Non funziona così. Eppure non riesco a digitare niente. Così chiudo WhatsApp e lancio il telefono verso il letto spoglio.

Non passa molto prima che il cellulare cominci a vibrare. So che è lei. Non dovrei risponderle, sta prendendo la strada facile. Ma chi è più vigliacco tra chi chiede scusa al telefono e chi rifiuta di rispondere a tali scuse?

Mi alzo, furiosa.

«Pronto».

Così, secco. Senza intonazione. Dall'altra parte, lei non dice niente.

«Che vuoi».

Respira.

«Hai dimenticato anche come si parla, oltre al significato di amicizia?».

La colpisco. Perché finalmente reagisce.

«Belinda... Io...» comincia. «Mi dispiace».

Adesso sono io a restare zitta. Quasi me la vedo davanti, che chiude gli occhi mentre pronuncia quelle parole, che si mette una ciocca bionda dietro l'orecchio, che mostra gli orecchini nuovi di zecca. Ascolto i suoi sospiri, li seguo finché li sento sfociare in lacrime silenziose. Cosa si aspetta che faccia? Che la consoli? Che la perdoni così, solo perché sta piangendo?

«Non so da dove cominciare» ammette dopo alcuni secondi. «Ci sono così tante cose che vorrei dirti, che vorrei spiegarti... Insomma, è andato tutto storto per una sciocchezza e io non so più come fare per ritrovarti».

Colpo basso. Sa bene dove sono. Non mi sono mai mossa. È lei che se n'è andata.

«Una sciocchezza?» dico incredula. «Una sciocchezza?! Ma tu hai presente che mi avete fatto fare la figura dell'isterica per colpa di Claudio? Hai presente che è da quel cazzo di sabato pomeriggio che non mi parlate? Che mi evitate come se avessi la peste! Carlotta! Dio mio, come fai a dire che è una sciocchezza?!».

Dall'altra parte, niente. Solo sospiri e abbozzi di singhiozzi sempre più ravvicinati.

«Del resto che ne sai, tu?» continuo. «Presa come sei dal tuo boyfriend di turno, non mi aspetto mica che tu capisca come ci si sente a essere esclusi da ogni fottuta cosa». Chiudo gli occhi e lancio la bomba. «Tu che sei sempre al centro dell'attenzione di tutti. E te ne lamenti pure! Povera, piccola incompresa...».

Non so da dove mi salti fuori tutta questa rabbia. Cioè, lo so, ma non pensavo sarei stata capace di trasformarla in parole vere.

«Ti prego, non dire così» quasi supplica. «Possiamo vederci? Per favore. Per favore».

La sua voce pare un filo sottilissimo, tirato al massimo. Mi basterebbe dire qualsiasi cosa, in questo momento, per strapparlo del tutto. Per sempre.

Poi però mi rendo conto di un'altra cosa. Capisco che, se io dico no, ora, se io dico basta, ora, lacererò per sempre anche quel filo che ci unisce. Perché lo so: in fondo, qualcosa che ci terrà sempre unite c'è. E va ben oltre lo skate, maledetta lei.

Sono davvero pronta a rinunciare a Carlotta? Così? Adesso?

«Dimmi dove e quando» mi arrendo infine, forte della mia debolezza.

«Davvero?».

«Carlotta, ho detto dove e quando» ripeto, prima di cambiare idea.

«Ok. Va bene stasera, dopo cena? Al molo, da Penelope?».

«Da Penelope?».

Mi schiaccio le dita sulle palpebre chiuse, così forte da ricominciare a vedere macchie colorate nel buio della mia testa. Il mio battito è cambiato. Odio che lei abbia sempre tutto questo potere e io... e io niente.

«Sì» conferma. «Ma se non ti va bene cambiamo posto».

«No, ok».

«Allora a dopo».

Riattacco. Poi corro a rendermi più bella che posso.

Ocean EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora