Nei giorni successivi cerco di evitare Carlotta. Ed è impossibile.
La incrocio negli spogliatoi della palestra, al cambio dell'ora. Lei esce a testa alta, io fingo di rispondere a un messaggio a testa bassa. Si accorge che Daria ha ancora il muso per la storia di Marco e dei suoi amici, così ci propone di andare al Nagoya a ingozzarci di sushi dopo scuola per tirarle su il morale. Finisce che pago quasi venti euro di all you can eat per mangiare sì e no due nigiri e un bicchiere d'acqua.
La incontro anche al supermercato: io sono con papà, lei con sua mamma. I nostri genitori si mettono a parlare, lieti di conoscersi, e noi due restiamo di fronte al banco frigo. Io fisso i codici a barre degli yogurt.
«Tutto ok?» mi chiede.
Io ho la pelle d'oca, ma lei probabilmente pensa sia colpa della temperatura subpolare. Annuisco e mi stringo le braccia al petto.
«Tutto ok».
«Sicura?».
«Sicura».
Prendo uno yogurt a caso e richiudo lo sportello.
«Da quando ti piace la vaniglia?».
Guardo il barattolo nelle mie mani. Trattengo uno sbuffo innervosito e la chiudo lì con un semplice: «Non è per me». E me ne torno verso il carrello.
Succede persino che la becco al cinema UCI. Io sono con Simo, lei insieme a due compagne di classe. Le vedo entrare in sala un minuto prima che le luci si spengano. Ridono tra di loro a bassa voce, tutte e tre con le gambe fasciate da calze velate. Riconosco quelle di Carlotta, le più slanciate, anche senza guardarla in faccia. Hanno le stelline argentate. Poi mi abbasso sul sedile, mi metto il cappuccio in testa e uso persino i popcorn come ulteriore scudo.
Simo mi osserva, aggrotta la fronte. Io scuoto la testa e lui non dice niente. Torna a guardare lo schermo, che ha smesso di propinarci pubblicità, finalmente.
Carlotta per fortuna non mi vede, ma io sì. Per tutto il tempo. Invece di seguire Lady Bird, passo un'ora e mezza a guardare lei, e le sue amiche, e il modo in cui sgomitano maliziose non appena c'è una scena di sesso. Schizzo fuori dalla sala prima dei titoli di coda.
Come se tutti questi incontri fortuiti non bastassero, Daria ha anche stabilito che il mercoledì è il giorno dello skatepark. Già prima era un appuntamento fisso, ma ora per Daria e Carlotta è diventato qualcosa di indispensabile. Fanno di tutto per essere libere, si portano addirittura avanti con i compiti. Cosa che io sto ancora tralasciando, a dire il vero.
Così, uno di questi mercoledì, becchiamo anche Simo col suo gruppo.
La cosa mi solleva – e parecchio – perché almeno non sarò costretta a passare il pomeriggio con Daria (che ormai parla solo di trovarsi un ragazzo "per bene") o con Carlotta (per ovvie ragioni). Ancora non riesco a guardarla in faccia senza che il mio cervello mi urli schifosa! curati! che problemi hai?
Il mio sollievo però sparisce quando mi rendo conto che Omar è su di giri. Omar, proprio lui, il ragazzo che ha sempre quel fare molleggiato, come se nulla gli importasse, il ragazzo che si scanserebbe un poco più in là se il mondo cascasse. Ecco, anche lui è attratto da Carlotta. Altrimenti non mi spiego il perché di tutte queste sue attenzioni: la aiuta e la corregge con un garbo che, ne sono certa, non gli appartiene.
Persino Johnny, che di solito ronza intorno a me, mi pare diverso. Fa in modo che Carlotta sia sempre inclusa nella conversazione. Le fa tante domande sul Tennessee, sulla musica country. È affascinato dalle parole americane che lei inserisce nei discorsi con naturalezza. Ogni tanto prova a farlo anche lui, che comunque ha dimestichezza con l'inglese. Eppure non ottiene lo stesso risultato, perché Simo inizia a prenderlo in giro.
Anche Daria ha un atteggiamento diverso. Sono sicura, anzi sicurissima, che se avessi portato Carlotta allo skatepark quando ancora non la conosceva, avrebbe storto il naso e si sarebbe sentita esclusa, dicendo cose del tipo: non è giusto, io però non sono stata accolta così.
Ed è vero, Daria non è stata accolta così dai ragazzi. Invece adesso, con Carlotta come filtro, è diventata accettabile anche lei.
Risultato: ora sono io quella antipatica, quella con cui nessuno vuole stare troppo a lungo.
Simo se ne accorge. Mi raggiunge sulla ringhiera che separa lo skatepark dal parcheggio. Si siede accanto a me con uno slancio, poi per un po' sta a soffiarsi aria calda sulle dita.
«Dillo a Omar e Johnny: è single» comincio con un gesto del mento verso il resto del gruppo.
«Non essere gelosa».
«Non lo sono».
«Lo sembri».
Sospiro. Chiudo gli occhi e cerco di stringermi nelle spalle senza perdere l'equilibrio.
«No» dico. «È... È una cosa diversa».
Per un po' nessuno di noi parla. Guardiamo Omar che cade, Johnny che ride e Daria che li filma. Carlotta ha un piede sulla coda del suo Penny e lo alza di qualche centimetro da terra. Sta diventando abbastanza brava. Ora riesce ad andare spedita per un bel pezzo, e pure a curvare. Gliel'ho insegnato io.
«Tutto ok, Linda? Perché mi sembri un po' dimagrita».
«Macché, è solo il maglione più grande che ho».
«Però ammetterai di essere un po' più taciturna e ferma del solito, no?».
«Boh» cerco di sviare. «Forse. Sono solo un po' stanca».
«Anche l'altra sera, al cinema?». Simo accenna un sorriso poco convinto e scuote la testa. «Sai che a me non puoi darla a bere».
Sospiro, ma verso la fine mi scappa una risata fiacca. «Sono davvero stanca» ripeto. Di colpo sento gli occhi riempirsi, ma mi rifiuto di piangere qui, così, per questa ragione. «Sono stanca di farmi sempre le stesse domande in loop».
Simo se ne accorge, ma ha la decenza di spostare lo sguardo altrove.
«Domande del tipo?».
«Boh. Che ne so».
«Sì che lo sai». Fa passare qualche secondo e ritorna da me. Aspetta che io lo guardi. Quando lo faccio, lui fa un cenno verso gli altri. Verso Carlotta. «Lo sai e non c'è nulla di male».
Nervosa, mi gratto il collo e scendo dalla ringhiera. Mi metto di fronte a lui. Scuoto la testa.
«No. Simo, no».
«Guarda che a me non frega niente» dice. «Cioè, sei mia cugina e sai quanto ti voglio bene. Per questo vorrei vederti felice. Ma ora non lo sei». Fa una pausa, si soffia ancora sulle mani chiuse a pugno. «E se c'è una cosa che ancora non hai, tipo la serenità, forse è perché devi fare qualcosa che ancora non hai fatto». Alza le sopracciglia in un'espressione di ovvietà. «Tipo innamorarti».
Sto per rispondere di getto. Ma cosa? Il mio cervello non dispone di una frase giusta, quindi impone alla mia bocca di tacere. Resto lì, di fronte a lui, con lo sguardo basso e vuoto e la testa che oscilla appena, come a dire: no, no, no.
«Perché no?» chiede lui. «Non è questione di maschio o femmina o unicorno. È solo una persona. Una persona. Come te».
Le lacrime tornano a spingere, e stavolta concedo a una sola di scendere.
E poi, così come prima alle mie labbra era stato imposto il silenzio, ora si schiudono quasi fossero costrette da una forza maggiore.
«Ho una paura del cazzo, Simo» dico con un filo di voce, tanto che non sono sicura di aver parlato davvero. Mi butto le mani sugli occhi e me li gratto. Vorrei cavarmeli.
Simo invece ride, intenerito. Scende dalla ringhiera. Mi mette una mano sulla spalla e stringe. Non tanto da farmi male, ma abbastanza da farmi capire che lui c'è. C'è e sa. E va bene così.
«E chi non ne ha?» chiede. «Se non ti fa paura... allora che razza di amore è?».
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Ocean Eyes
RomanceLinda ha sedici anni e una vita normalissima. Le sue giornate ruotano intorno a tre cose: skate, amici e scuola. Almeno finché non arriva Carlotta...