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Torno a casa con l'autobus, le ginocchia schiacciate nel sedile davanti al mio.

Mentre me ne sto lì, mezza rannicchiata e prigioniera di me stessa, una certezza mi colpisce.

Non avrò più un posto in cui mi sentirò al sicuro. Cavolo, è già sparito.

Ho perso la mia migliore amica. Ho perso Carlotta. Ho perso il rapporto che avevo con papà. Perderò lo skatepark, Simo, Senigallia, il mio mondo.

Capisco il senso della parola casa solo quando lo sento scivolarmi tra le mani. Non posso farci nulla. È questa la sensazione peggiore.

Rientro in una casa ormai smembrata. Ci sono i segni dei quadri alle pareti, i pavimenti nudi, spogliati dei loro tappeti. Entro in camera mia e la sensazione è quella di una stanza in agonia. Il che mi rispecchia.

Prendo il telefono e chiamo Simo. Non risponde.

Allora apro la chat con Carlotta. Per dirle cosa, non lo so. Ma vedere il suo nome lì, in alto, la sua foto, in qualche modo mi conforta.

Poi spunta una notifica. Arriva da Facebook, ed è l'invito a un evento.

È la festa di addio di Carlotta. Vuole salutare tutti, ora che ha finito col liceo ed è pronta a prendere un aereo.

Penso: non si degna neanche di dirmelo di persona.

Mi dico: ecco quanto vali per lei, sei solo un altro nome su Facebook.

Ma poi, quasi come richiamato dai miei pensieri, il suo nome mi appare in un'altra notifica, stavolta di WhatsApp. Ed è sempre lei. Dio, è ovunque.

Dice: Please, vieni. Vieni a questa festa, è l'ultima cosa che ti chiedo, I swear. Fallo per me.

Resto imbambolata. Ho come un flash. Vedo la me stessa del futuro che rilegge questi scambi, questi messaggi, preda della nostalgia più lancinante, bisognosa di prove riguardo il passaggio di Carlotta nella mia vita. E decido che no, non mi va. Non voglio lasciare altre tracce che mi faranno male. Perché, lo so: tornerò indietro a ricercare tutte queste parole, tornerò indietro a chiedere l'elemosina al passato.

No. La chiamo. Risponde al primo squillo.

«Viene anche lui?» comincio a bruciapelo.

«Sì» risponde piano.

«E allora perché dovrei esserci anche io? Per farvi da pubblico?».

Lei sospira dall'altro capo del telefono, ma è come se me la vedessi qui di fronte.

«No. Assolutamente no».

«Carlotta. Dammi un solo motivo, uno buono, per cui dovrei decidere di venire alla tua stupida festa».

«Te l'ho già detto. Da Penelope». Si ferma, inspira più a fondo. «Perché sei l'unica che mi capisce davvero. Perché sei la sola di cui ho bisogno, soprattutto ora».

Aspetta qualche secondo. Poi riattacca senza aspettare la mia risposta, il che è giocare sporco.

Fisso lo schermo del telefono finché si spegne. Mi sudano le mani e so già che me ne pentirò. Tutti i giorni, da qui a per sempre.

So che non dovrei dirlo, eppure il suo mi pare un motivo molto più che convincente.

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